Sergio
Catastini
Nato a Fucecchio (FI) nell'ormai lontano
1960. Dottore Agronomo con esperienze di lavoro in varie parti del globo.
Scrive per passione anche se non ha mai troppo tempo per farlo. |
Polvere
Polvere, polvere ed ancora polvere.
La polvere entra dappertutto: il naso, le orecchie, i capelli ne sono pieni.
Risate alle nostre domande che forse la gente trova strane o ridicole nel
contesto in cui vivono.
Polvere, polvere e sempre polvere.
Mani e piedi induriti e consumati dalla fatica. Età indefinibili. Un
bambino vomita e tutti, adulti e bambini, ridono.
La conversazione con la gente continua e si fa più vivace.
L'interesse aumenta quando iniziamo a parlare d'acqua. Anche le donne,
dapprima timidamente e poi con più coraggio intervengono. L'acqua è
soprattutto un loro problema. Sveglia all'alba, lunghe camminate per
raggiungere il punto d'acqua più vicino, spesso una pozza insalubre.
Ma non ci sono alternative.
Le donne esprimono i loro bisogni che sembrano molto più reali e pratici di
quelli degli uomini. Come in tutto il mondo le donne dimostrano, anche qui,
in uno sperduto villaggio del Mali, uno spirito pratico e razionale che,
come uomo, ho sempre invidiato!
Una donna prende la parola e parla con veemenza, accusando spesso gli uomini
del villaggio di non interessarsi troppo dei loro problemi. Mi chiedo quali
saranno le conseguenze del suo intervento dopo la nostra partenza.
Questa donna mi ricorda Aminata, una ragazza senegalese originaria di un
villaggio non lontano da Thies, conosciuta a Marsiglia.
Ci siamo conosciuti casualmente una sera d'estate ad un bar all'aperto sulla
Canabiere. Io ero con un amico seduto a bere l'immancabile aperitivo, un
pastis con menta, che i marsigliesi chiamano perroquet ( pappagallo).
Mentre parliamo di tutto e di niente, arrivano quattro ragazze, di cui due
africane, e si siedono ad un tavolo vicino. Iniziano a loro volta una
conversazione a cui sono totalmente disinteressato, se non che ad un certo
punto una delle due africane si rivolge all'altra in una lingua che
riconosco immediatamente. Parlano in wolof! Non posso impedirmi di rivolgere
loro la parola: la curiosità è vincente e non mi lascia alternative.
"Nangadef". dico loro senza pensarci su troppo. Mi guardano e una
delle due mi risponde: "Mangi fi rek".
Ecco come ho conosciuto Aminata.
Ci siamo rivisti la sera successiva e gli ho raccontato i miei anni passati
in Senegal, e la serata è passata talmente velocemente che mi è sembrato
fosse finita subito. Ho passato quattro ore a parlare e lei che annuiva o
diceva "si", "no", "sono d'accordo",
"mah", "non so". A mezzanotte mi ha detto che era stanca
e l' ho riaccompagnata a casa.
Mi sono chiesto se non avessi parlato troppo, se non l'avessi annoiata con
le mie storie. E il dubbio mi è rimasto per una settimana, fino a che il
pomeriggio del sabato successivo uno squillo di telefono mi ha tirato giù
dal divano dove stavo facendo la rituale siesta.
Era lei. "Scusami per l'altra sera e per non averti richiamato prima,
ma ero veramente stanca ed il lavoro al ristorante non mi lascia molto tempo
libero"
"Oggi é il mio giorno libero", mi disse. "Vogliamo passare
il pomeriggio e la serata assieme?"
"Certo, non potrei chiedere di meglio", le dissi.
Ci siamo dati appuntamento ad un bar in fronte al porto vecchio. Uno dei
luoghi che più amo di Marsiglia. Il tardo pomeriggio l'atmosfera è
bellissima: i bar con la gente a prendere l'aperitivo, i pescatori che si
preparano ad uscire in mare, il mediterraneo.
Il mediterraneo...quante altre storie da raccontare!
La trovai seduta al tavolo che stava leggendo un libro di Bruce Chatwin:
"Le vie dei canti".
Mi sedetti e le dissi: "Ora parlami di te, dei libri che ami leggere,
delle cose che ami fare, da dove vieni e perché sei qui"
"Che irruenza e che impazienza! Neppure buonasera, come stai? O
qualcosa di gentile?", mi disse.
E poi iniziò il suo racconto. O meglio i suoi racconti. Delle storie
terribili, crude come solo una donna può vivere e raccontare con tanta
serenità.
Aminata, 24 anni, cameriera in ristorante italiano del centro a Marsiglia.
Un sorriso stupendo e la voglia di vivere dipinta sul viso. La voglia di
vivere che traspariva dalle sue parole, dai suoi racconti e dai suoi sogni.
Veniva da un piccolo villaggio situato fra Thies e Diourbel, ed era di etnia
Serere. Chiaramente come quasi tutti in Senegal, parlava il wolof. Del suo
villaggio ricordava l'infanzia, fino ad un certo punto non così brutta.
Anche se già da piccole le bambine iniziano i compiti domestici: cercare
l'acqua, accudire ai bambini più piccoli, pestare i cereali. Mi disse che
per tre anni fra un lavoro e l'altro è riuscita persino a frequentare una
piccola scuola della missione cattolica di un villaggio vicino. Poi il padre
disse che era ora che smettesse di perdere tempo a studiare e che
cominciasse ad abituarsi a gestire una famiglia, ormai aveva "ben"
12 anni. Ed infatti 3 anni dopo arriva il matrimonio concordato dalla
famiglia. Uno choc terribile, ricordava la violenza del suo primo rapporto
sessuale e dei successivi, ricordava tutte le paure di una bambina
sottomessa ad un uomo di 37 anni.
"Rimasi incinta dopo qualche mese", mi disse.
E ricordava i dolori della gestazione e le donne più anziane che ridevano e
le dicevano di non fare storie che quella era la vita delle donne. E
ricordava la sua voglia di ribellarsi alla stato delle cose e di fuggire
lontano da quel villaggio e da quella gente.
I dolori sempre più forti e qualcosa che non andava dentro di lei. Ma
nessuno la ascoltava. Alla fine ricordava il bambino nato morto, lei sul
punto di morire. E quando si fu ripresa, di nuovo la paura del marito, che
le faceva venire freddo lungo la schiena. All'alba a cercare l'acqua e poi
le faccende domestiche e la sera i doveri coniugali. E tutti i giorni che si
ripetevano uguali, tutti uguali l'uno all'altro senza possibilità di
scampo.
Aveva ancora dei libri che teneva ben nascosti e che leggeva quando nessuno
poteva vederla. E si creava il suo mondo, faceva i suoi viaggi, aveva un
uomo che l'amava, dei bambini trattati come principi e principesse che
andavano a scuola, ed era rispettata come essere umano. A questo pensava la
notte nei suoi sogni. Ma al risveglio tutto era immutato ed immutabile.
Ma la speranza che qualcosa potesse cambiare non l'aveva mai abbandonata. E
questa le permetteva di andare avanti e sopportare la sua vita di donna.
Passavano gli anni, ormai aveva 18 anni. Dalle letture che faceva sapeva che
a 18 anni in molti posti sei sempre una ragazzina, ma lei si sentiva
invecchiare. Ed in più doveva sopportare il disprezzo del marito e della
famiglia perché non riusciva più a restare incinta. Ma questa
probabilmente fu la sua fortuna.
Ad un certo punto il marito la ripudiò e la rimandò alla sua famiglia. Una
liberazione, ma i problemi per una donna ripudiata e che si sa che non può
avere bambini sono enormi. La famiglia sapeva che al villaggio Aminata non
avrebbe più potuto trovare un marito e la mandarono dai parenti a Dakar.
A Dakar i suoi parenti la accolsero bene ed una sorella di sua madre,
particolarmente gentile, vedendo la voglia di Aminata di apprendere, di
leggere, le chiese se voleva provare a studiare. La risposta fu scontata.
Aminata viene accolta ad una missione cattolica di Dakar, dove iniziò a
dare una mano in cucina e contemporaneamente a seguire i corsi di studio. In
breve recuperò gli anni di studio mancati. Divorava libri su libri, passava
nottate a leggere. I suoi libri preferiti erano quelli che parlavano di
viaggi, di genti e popoli diversi. La voglia di conoscere la divorava.
A 21anni riuscì a prendere il suo diploma. Ma la voglia di leggere le
rimase, continuava ad impiegare il suo tempo libero a leggere libri. Tre
anni fa decise infine di andare in Europa per provare a vivere una vita
diversa. Sua zia, prima cercò di convincerla a non partire dicendole che la
vita comunque non sarebbe stata facile in Europa. Poi vista la
determinazione di Aminata, le disse che a Marsiglia lavorava la figlia di
una sua amica e avrebbe cercato di metterle in contatto.
Ecco come era arrivata a Marsiglia. La sua amica l'aiuto' a trovare un
lavoro in un ristorante, ed una sistemazione.
Il lavoro seppure faticoso non le dispiaceva. Con il suo diploma in tasca si
era iscritta alla facoltà di lettere. Continuava a leggere i suoi libri e a
fare viaggi bellissimi con la mente. Ma la vita a Marsiglia era comunque
dura. I soldi che non bastavano mai. Un paio di uomini che sono entrati
nella sua vita, l' hanno fatta soffrire e sono scomparsi come se nulla fosse
successo.
Spesso si fermava a pensare al Senegal, al suo villaggio, alla gente con cui
aveva vissuto la sua infanzia e la sua mancata adolescenza. E quando ci
pensava non c'era odio, anzi la nostalgia di un mondo diverso che a suo modo
aveva amato e che continuava ad amare. Ma che avrebbe voluto cambiare.
Quando lo diceva sapeva che non è possibile, ma lo desiderava con tutte le
forze. Perché tutte le bambine del suo villaggio non avrebbero avuto la
fortuna che aveva avuto lei, la possibilità di cambiare vita.
"E per il tuo futuro cosa vedi?", le chiesi.
Mi gettò in faccia un altro fiume di parole sui suoi sogni, le sue
speranze. Voleva laurearsi, fare l'insegnante, scrivere dei libri e
viaggiare. Si, viaggiare! Perché sapeva che il mondo la aspettava, che il
mondo voleva essere conosciuto da quegli occhi pieni di vita e voleva essere
raccontato da quella voce. Era il mondo che la voleva, che la desiderava e
questo si capiva dalla luce nei suoi occhi.
Dopo quella sera abbiamo passato, moltissime altre serate a parlare per ore
ed ore di viaggi impossibili, di libri letti o da leggere, di persone e di
luoghi incantati. Ogni sera passata con lei era un tuffo nell'anima del
mondo. Tutte le cose belle che il mondo poteva offrire sembravano essersi
riunite in lei e lei sembrava esserne cosciente. Trasmetteva ottimismo e
voglia di conoscenza.
Tutte le sere che ho passato con lei a parlare sono uno scrigno di
conoscenza a cui ancora oggi attingo a piene mani.
Da allora sono passati cinque anni.
Ho rivisto Aminata due volte. Una volta a Firenze dove era venuta ad
approfondire i suoi studi sull'arte rinascimentale toscana e la seconda
volta, 3 mesi fa, a Dakar dove era in missione per conto dell'UNICEF per
fare uno studio d'identificazione di un programma di educazione per bambine
nei villaggi del Senegal.
Per l'ennesima volta mi sono compiaciuto per la determinazione ed il
coraggio di questa ragazza che in pochi anni era fuggita dalla polvere del
suo villaggio, passata dall'Europa e ritornata nel suo paese per fare
qualcosa che aveva sempre avuto in testa e che sicuramente sarebbe riuscita
a realizzare.
Spesso quando sono nei villaggi, come oggi, trovo una donna che ha dipinta
sul viso la stessa voglia di vivere e di cambiare le cose. Quante di queste
donne però avranno la fortuna, la determinazione e la voglia di scappare
dalla polvere del loro villaggio, ma soprattutto, il coraggio di ritornare
in quella polvere dopo tanti anni per cambiare le cose.
Ogni tanto sento Aminata al telefono o per e-mail e come sempre, dopo che ci
ho parlato, dopo che mi ha riversato nella testa i suoi sogni, mi dico che
un mondo migliore è possibile. |