Gioacchino
De Padova
Nato il 2 febbario 1967, da qualche anno ho iniziato a scrivere brevi
romanzi, su alcuni dei quali sto ancora lavorando. Nell'Aprile 2006 è
stato pubblicato il mio libro d'esordio dal titolo "Le impronte del
passato sulla neve", edito da I Fiori di Campo. Prediligo la
narrativa gialla e noir, ma ritengo che l'ironia sia una componente
fondamentale per la vita di ogni individuo e la satira per quella di una
società democratica. |
IL PADRONE DEL CAMPO
Ricordo quel giorno come fosse oggi: io ed i miei
amici eravamo impegnati nella nostra partita di pallone, quando fummo
sorpresi da quel grido: "Scendo in campooo!"
Un ragazzino, della nostra età circa, stava per irrompere sul terreno di
gioco.
Era accompagnato da alcuni amici suoi che lo seguivano nell'avanzata
standogli un passo indietro.
Restammo a guardare il gruppo che si stava avvicinando senza la minima idea
di cosa avrebbero voluto da noi.
Quando ci arrivarono davanti, il capetto tirò fuori un pacco di carte che
dovevano essere atti notarili, dai quali sosteneva si evincesse chiaramente
che lui era il proprietario di quel campo su cui da tempo noi stavamo
giocando.
Di fronte alla nostra obiezione che, proprio perchè soliti frequentarlo da
tempo, non avendo mai ricevuto comunicazione alcuna, ritenevamo improbabile
la veridicità della sua affermazione, rispose appellandosi a poste e
postille dalle quali si evinceva senza dubbio alcuno che il campo
su cui poggiavano i nostri piedi era indiscutibilmente suo. Non del tutto
convinti, ci limitammo a chiedere cosa tutto questo avrebbe comportato, fino
a tirare un sospiro di sollievo quando ci spiegò che l'unica condizione che
avremmo dovuto accettare per continuare a giocare sul suo campo sarebbe
stata quella di giocare con lui ed i suoi amici. La richiesta venne accolta
con sollievo: d'altronde, proprietario o no, quel campo di sicuro non era
nostro e quindi non avremmo comunque potuto impedirglielo.
Da lì cominciarono tutti i guai.
Al momento di fare le squadre, alcuni di noi, attratti dal carisma del
personaggio e forse intimiditi per essere di fronte all'uomo di potere della
situazione, decisero immediatamente di giocare dalla sua parte.
Altri, tra cui io stesso, che l'avevano guardato con sospetto fin dal primo
momento, furono ben lieti di giocargli contro. Poi c'erano i suoi amici, che
avevano molto chiara in mente la convinzione di non poter far altro che
giocare nella sua squadra.
Quando arrivammo a contarci, con soddisfazione notammo di essere equamente
distribuiti e di non dover fare nessun altro sforzo per dare vita alle due
squadre.
L'illusione che la rapida conclusione della diatriba sportivo legale che ci
aveva contrapposti fosse prodromica di tante serene partite di pallone fu il
secondo tragico errore di valutazione.
Quel ragazzo non sapeva assolutamente perdere e non voleva nemmeno sentire
nominare la parola sconfitta!
Nella migliore delle ipotesi, di fronte ad una severa sconfitta, si limitava
a guardare in maniera torva i suoi avversari, senza mai riconoscere la loro
vittoria e ad esternare tutta la sua disapprovazione nei confronti dei
compagni di squadra, rei di averlo trascinato nell'ignominia del disonore.
Le volte in cui vinceva, che peraltro erano in numero pari rispetto alle
sconfitte, era solito condurre festeggiamenti faraonici ed esibirsi in
servizi fotografici interminabili, col personale addetto allo scopo che si
era portato da casa.
Sempre attento a mostrare all'occhio della macchina fotografica il lato del
suo viso che riteneva essere più fotogenico.
Ma veramente insopportabile era la sua condotta in campo.
Quando, nei momenti di pausa delle partite, vedeva i giocatori della squadra
avversaria passarsi di mano in mano borracce d'acqua destinate ad alleviare
la sete, subito denunciava scandalizzato di essere al cospetto dei soliti
vetero comunisti.
Quando la squadra avversaria vinceva partite molto combattute, iniziava a
contestare ogni singola rete da noi messa a segno durante tutto l'arco della
partita, invitandoci a contare e ricontare le reti valide.
Quando le partite si concludevano con una nostra rete siglata nei minuti
finali, estraeva dalle tasche complicati cronometri di provenienza americana
sostenendo che provassero inequivocabilmente essere già scaduto il tempo
regolamentare immediatamente dopo la sua ultima segnatura.
Ma la contestazione che rimase maggiormente proverbiale la mise in atto
nella partita che seguì immediatamente il cambio delle regole.
Dopo un attento studio, accortosi che le ultime partite le aveva perdute per
via di alcuni fuorigioco, contestatissimi quanto evidenti, con cui la nostra
squadra aveva ripetutamente vanificato alcune sue azioni d'attacco, decise
di cambiare la regola, convinto di apportare un notevole beneficio al gioco
della sua squadra.
Pur tra mille obiezioni da parte nostra, venne così eliminata la regola del
fuorigioco.
Il destino beffardo volle che la partita successiva si concludesse con una
nostra vittoria di misura grazie ad una rete nei minuti finali che con la
vecchia regola sarebbe stata sicuramente da annullare per evidente
fuorigioco, ma con la nuova, che non lo prevedeva più, era invece
assolutamente regolare.
Ci costrinse a ridiscutere il punteggio della partita, ricontando tutte le
reti segnate, applicando nuovamente la regola che aveva soppresso.
Contare e ricontare! Era diventato il suo motto.
Insomma quelle partite diventarono un vero inferno.
Persino molti suoi compagni di squadra non ne potevano più di lui e non
vedevano l'ora di liberarsene, vessati continuamente dai suoi rimproveri e
privati di qualsiasi forma di riconoscimento in occasione delle vittorie di
cui lui solo riteneva d'essere l'autentico artefice.
Molti di loro avevano tentato più volte di metterne in discussione gli
atteggiamenti, subito però rimessi in riga dalla sua lapidaria affermazione
di essere l'unico, indiscutibile proprietario del campo di gioco.
Così si trascinarono interminabili partite, tra contestazioni infinite e
accuse di complotti aventi come unico fine quello di delegittimare la sua
figura.
Allora era ancora un ragazzino, forse si sarebbe ancora potuto rimediare!
La colpa fu anche nostra che non ci ribellamo mai più di tanto, forse
perchè timorosi che fosse
realmente il proprietario del campo di gioco o più semplicemente perchè la
sua figura grottesca era a tratti anche simpatica.
Tutto terminò un giorno in cui improvvisamente disse di avere cose molto
più serie ed importanti da fare!
Pronunciate queste parole, se ne andò velocemente, seguito dai suoi
fedelissimi.
Di cosa si trattasse nessuno di noi lo ha mai saputo, certo è che non
abbiamo mai sentito la sua mancanza.
Da allora sono passati molti anni e quel ragazzino ormai sarà un uomo di
una certa età.
Alcuni miei vecchi compagni di pallone dicono che gli è parso di vederlo in
qualche trasmissione televisiva importante, ma io non lo ritengo possibile.
Abbiamo una certa età e la vista può fare brutti scherzi.
Anche la memoria a dire la verità, perchè nonostante abbia la figura di
quel ragazzo nitida nella mia mente come poche altre, proprio non riesco a
ricordare il suo nome.
O forse è solo il mio inconscio che vuole farmelo dimenticare.
Un consiglio, però, ve lo posso dare: NON GIOCATE MAI A PALLONE CON CHI
SOSTIENE DI ESSERE IL PADRONE DEL CAMPO. |