Alessandra Libutti

I personaggi sono tutti inventati, ma LH45 è esistito veramente (e ancora esiste) e quelli che ci abitavano (con altri nomi ed altre storie) lavoravano negli stessi posti e transitavano alle stesse ore... Gli emigranti di fine millennio. L'ultima tornata.

Vivo a Londra dal '92. Da qui ho mantenuto i rapporti con l'Italia e continuato a scrivere. Ho collaborato per un po di tempo con "Music & Arts", prima che la Leti chiudesse bottega. Per Stampa Alternativa ho scritto un libro per la collana Sconcerto: Wire Exploded Views. E' da allora che non riesco più a sentire un pezzo dei Wire senza avere un esaurimento nervoso.

Ho scritto due romanzi. Il primo è finito nella spazzatura, il secondo sto cercando di farlo pubblicare.

Scrivo di notte, fumando come una turca e divorando barattoli di Nutella.

Come dice Stefano Benni: cioccolata per fumare di meno e sigarette per mangiare meno cioccolata.

Farò carriera...

LH45

La sveglia di Matteo azzanna alle cinque e trenta del mattino.

Bip bip. Bip bip. Bip bip.

In strada, sotto la pioggia, sfreccia l’ultimo notturno da Trafalgar Square. Qualcuno scende. Nessuno sale ed è buio pesto. Ma d’altra parte è il quindici di ottobre e questa è Londra, il sole sorge alle sette e quarantacinque.

Cinque e trentasette.

Bip bip. Bip bip. Bip bip.

Due dita annaspano sul comodino. Chi è nel letto ha ancora voglia di dormire, e tanta.

Cinque e cinquanta.

Parte la radio.

Seconda chiamata.

Matteo si muove automatizzato, avvia la stufa e si ributta nel letto. Entra in un dormiveglia confuso e veloce. Poi strofina gli occhi con impazienza. Il risveglio è un’operazione delicata. Richiede un certo savoir faire.

Sui vetri ora c'è condensa, ma il sonno è duro a morire. E' indeciso se compiere la mossa fatale o no. Ogni risveglio è un bivio.

Eppure non è l'unico a svegliarsi, nel building. Tre sciacquoni si susseguono a catena. La luce del corridoio percorre le fessure. C'è chi dice buongiorno e chi si dà la buonanotte. E' Cesare che fa il buttafuori. Ma domani, cazzo, è off.

Una porta sbatte.

Sei e quindici.

L'altra sveglia.

Ultima chiamata.

Tre sveglie è il savoir faire di Matteo. Ma non ne basterebbero cinquanta.

Spalanca gli occhi.

Sei e diciotto.

Porca puttana.

Gli restano nove minuti e ventitre secondi per alzarsi, lavarsi, vestirsi, fare colazione e affidarsi al destino. Se Dio ha creato l’universo in sei giorni, Matteo ha ancora tanto da imparare.

Sei e ventisette.

Marika, direzione Bar Italia, trattiene il 77A. Un ombra, camicia sbottonata, dreadlocks biondastri ammassati e giacca infilata in una manica, s’arrampica incollato e spiattella la travelcard sul vetro del driver, il quale come di consueto è nero e incazzato come una jena.

"N'altro po’ e lo mancavi." Dice Marika che già ha catapultato la minigonna al secondo piano.

Sulle scalette due gambe spigolose e compatte, strette in un paio di jeans neri slavati, la seguono per forza d’inerzia. Le luci dei lampioni s’inseguono al di là del cinemascope. La bocca è impastata e ha voglia di fumare.

I due si accasciano come sull’otovolante. Il bipiano rosso punta le pensiline e inchioda. Sul pedale del freno il piede si accanisce come un pollice sul joystick d'un aracade. L'accelerazione è da formula uno.

Sei e trenta.

"Aho ma questo è matto! A Matté..."

"A Marika..."

Poi ripiombano in una sonnolenza embrionale.

Sei e cinquantadue.

Vauxhall. Victoria Line. Il tube è in agguato. Le porte si spalancano. Quattro piedi avanzano, venti dita fanno mambassa sulla sbarra e due culi si riversano sul soffice in una piroetta. Stanno l'uno davanti all'altra. Non vola una mosca.

Sette in punto.

Oxford Circus.

"Allora ciao."

"Allora ciao."

"Che fai stasera?"

"Non lo so." Risponde Matteo che vive sul chi vive.

"Noi famo la pizza alla quattordici. Famo pure le bruschette. Giancarlo oggi prende il sussidio. Dice che compra pure il vino e un po' de fumo. Ce vediamo tutti alla quattro ch'è la più grande. Ce vieni?"

"Non lo so." Dice Matteo che si è rotto i coglioni di rompersi i coglioni. Occupa la tre: uno sputo e un letto. Il buco del culo del mondo. Però non vuole compromettersi. Ha altri piani in mente. E si chiamano tutti Liliana.

"Allora ciao."

"Allora ciao."

Marika sparisce direzione Central Line. Al Bar Italia pagano una sterlina e ottanta pence l'ora. I dreads deviano verso la Bakerloo. Due sterline tonde tonde. C'è da scialare.

Sette e tredici.

Bakerloo Street. Un piccione sterza davanti a Matteo. Sulle scalette c'è chi vende Big Issue. Da Costa qualcuno si rifugia in un cappuccino annacquato.

Là fuori è ancora buio pesto.

Altra pensilina. Hammersmith & City Line. Passano nell'ordine: la Direct, la Central, la Direct, un'altra Direct, ancora un'altra Direct, nuova Central, si ripassa alla Direct.

Porca puttana.

Sette e trentadue.

Rintanato dentro la giacca, Matteo sonnecchia sulla panchina e legge le targhe sui muri: Ristrutturata nel... E' scoordinato in quel frangente. I chip mal programmati.

Sette e trentotto. Rosa come un fiorellino la Hammersmith sfreccia e frena in un rigurgito di arti appesi e sospesi. E' la quinta bolgia, ma Matteo è in un ritardo stratosferico. Prende la rincorsa e tira pugni. Si scusa e poi se ne sbatte.

Otto e sette minuti.

Westbourne Park.

Sotto la pioggia, bavero rialzato, attraversa a passo allungato il parco. La tramontana sferza a centocinquanta. Qualche coglione fa jogging. Qulache altro porta a spasso il cane e raccoglie la merda con un sacchettino e la getta nella spazzatura.

Matteo saltella e butta la testa all'indietro. I percorsi quotidiani lo ipnotizzano di dettagli. Due muraglioni di graffiti gli fanno compagnia. C'è luce, ma poca e grigia.

Sbuca fuori dal parco e costeggia il canale. E' una nebbiolina sottile e mansueta quella che lo avvolge. Passa la Mute, si avvia verso la Virgin. La zona è un cesso ma qui si stampano tanti dischi. Cazzo. Attraversa il ponte su Harrow Road e spalanca la porta d'un sandwich bar che puzza di formaggio rancido. Non è esattamente con questa idea in testa che ha attraversato le Alpi e la Manica.

"Sei ritardo." Dice l'armeno col dito sull'orologio. Ha due occhi d'avvoltoio, capelli corvini, naso aquilino. Un miracolo d'ornitologia, l'armeno.

Il resto della giornata è un purgatorio senza redenzione.

"Tagliare pomodorini più sottili. Usare meno. Bene per cassa. Più veloce."

Dodici e trenta.

Ora di punta.

La fila è istituzionale, cortese e indefessa. Al di là del bancone il polso repentino. Si pensa poco. L'attenzione è imbottigliata negli accenti spigolosi. Più che capire si lavora di fantasia. C'è intuizione e manovra di destrezza tra lo scroscio di parole. Si risponde per monosillabi e vocali. E si storce il naso.

Lasagne, maionese, insalata e cappuccino. Voilà. Il pasto è servito.

L'armeno è radioattivo.

"Spalmare più maionese su lasagne. Preparare cappucino. Scusare. Ragazzo poco pratico. Italiano."

Porca puttana.

Poi l'armata si ritira e il sole li insegue.

Coltello, ramazza, straccio.

"Pulire bene sotto gli angoli. Ieri lasciare pezzetti in angolo."

Sedici e trenta.

La busta paga arriva senza clamore. Tolte tasse, affitto e travelcard, restano dodici sterline e venti pence per le sigarette e la bella vita (ed è proprio a quella a cui Matteo pensa con la complicità di Liliana). Stasera al Forum c'è Henry Rollins, cazzo.

Intanto fuori la notte non s'è fatta aspettare.

Il ritorno è tutto in discesa, ma è una missione ancora da compiere. Le insidie sono tante e spinose. La posta in gioco il ritorno a casa. E' la legge di Darwin. La Hammersmith è compatta, la Bakerloo inavvicinabile. A Oxford street hanno evacuato. C'è una bomba. Dicono. Ed è già la quarta in due settimane. Matteo sterza verso la Central e fa girotondo. Dopo cinquantasette minuti appeso alla sbarra approda a Victoria Station.

Sulla Victoria si susseguono i treni. Ma Oxford Street è chiusa e qui c'è tutta Londra. Si lavora di gomiti, passetti e spostamenti decimali: dalla scalamobile alla pensilina si passa lo Stige. Quattrocentocinquanta sardine per vagone. Alla fine Matteo s'incunea a spintoni. Le porte gli spiaccicano un tallone. Non ha neanche bisogno d'aggrapparsi. E' una sospensione di corpi, giacche e borsoni che perforano le costole. L'ossigeno è un lusso.

Ma c'è ancora da sudare.

A Vauxhall il 77A è dato per disperso. Dalle scalette del tube le nuove orde si aggiungono alle lamentele dei dannati. Quando alla fine arriva, l'autista ha finito il turno, molla il bisonte, chiude le porte e se ne va. Matteo accende una sigaretta per scaramanzia. Poi se ne fuma altre cinque. Osserva un tipo in maniche corte e shorts. Il freddo gli ha fatto venire appetito. Ha bisogno d'una doccia. E calda.

Sull'autobus pensa veloce Matteo, ma disordinato. E' distratto dalle voci, i nasi adunchi e a patata, le capigliature folte e rade, gli abiti da mercatino e quelli di Top Shop. Gli squittii dei cellulari e i walkman mistificati ma inarrestabili.

Diciotto e ventisette.

Dopo dodici ore, la porta si spalanca ed è tornato al punto di partenza.

Il building è illuminato a festa. Sono tornati tutti (o quasi). Nel corridoio c'è Assunta con una teglia in mano.

"Ciao. Stiamo preparando l'impasto. Vieni stasera?"

"Non lo so. Al Forum c'è la Rollins Band."

"Chi?"

Porca puttana.

Diciotto e trentaquattro.

Matteo punta alle docce ma c'è la fila. Dentro c'è Augusto e sono cazzi. Marika ha lo shampoo in mano. Brutto segno. Liliana non torna prima delle sette. In ventisei minuti ce la dovrebbe fare. Quanto all'acqua calda è un sogno. Il privilegio dei primi. E lui naturalmente è in fondo. Prova al piano di sopra, ma qualcuno ha smontato il boiler. Riscende e dietro Marika s'è aggiunta pure Beatrice.

Voci s'incrociano tra i piani.

"Chi èèèèè che ha presoooo l'hooveeeeeer?"

"Cel 'ha Ceeeeesareeee!"

Aspetta e fuma.

Sette e quindici.

Pulito, congelato e rivestito e d'un'eleganza esaltata da un cappottone rimediato al charity shop, Matteo bussa alla nove.

"Liliana sono Matteo"

In fondo al corridoio Giancarlo compare allampanato carico di vino e d'allegria.

"A Matté, ho preso i soldi del sussidio. M'é arivato pure l'housing co' du' mesi d'aretrati. Stasera s'arincojonimo!"

"Sai se è tornata Liliana?"

"Lillì oggi ha fatto sega. S'è data ammalata. Sa semo fatti l'aglio e ollio e du' risate. E' 'scita alle cinque colla chitara. Annava alle prove."

"Sei sicuro?"

"E che nun ce lo so? E dai, vieni su. Che stai a fa' lì come uno stronzo. Guarda che Lillì c'ha altri grilli. Bazzica altri porticati."

Il naso di Valeria sbuca dalla otto. Pigiama e aria assonnata.

"Che cerchi Liliana?"

Giancarlo sta già sui gradini.

"A Valé ma sei già annata a dormì o te sei appena svejata?"

"A Gianca' lasciame sta che c'ho mal di testa."

Matteo ha l'espressione dello stoccafisso.

"Liliana annava a un concerto stasera. Ma non me ricordo de chi. Però me sa che c'annava co quelli co' cui suona."

Il deca di Matteo è in bilico sulla tasca. Senza Lillì la serata è andata a farsi fottere.

"Matté..." ridice Giancarlo "Mettice 'na croce sopra."

Dall'alto squilla Federico.

"La farina! Porca miseria. Ci vuole più farina."

Dal basso ribbatte Augusto.

"E mo' l'annamo a comprà. Marikaaa! E daje che ce vole più farina. Pija la giacca che il groucery chiude."

"Fede. I pomodori ce l'hai?"

"Sììì."

"E la mozzarella???"

"Pureee."

"Vabbé mo te pijamo la farina. Matté c'accompagni a pija la farina?"

Il trio muove in direzione groucery. Sei passi fuori della porta. Si chiama "Cost Cutter", ma al building lo chiamano "Bulgari". Attraversano la strada come in un film di Sergio Leone.

"Malimortacci loro. Due e venti un pacchettino. Ma questi so' de fiji de 'na mignotta."

Augusto ha agguantato la farina e la lancia a Marika. Davanti al settore latte, Matteo cerca un barattoletto di yogurt alla fragola ma è finito.

"Aho, ma se fidamo de un milanese pe' fa' le pizze." Spintona da dietro Augusto.

"Se n'se fidamo de lui, fa il pizzettaro." Ribatte Matteo.

"Matté che ce l'hai cinquanta pì. Non c'arivo." Grida Marika già in fila.

"Aho. Mortacci suoi, Federico pija tre e venti l'ora." Dice Augusto: uno e settanta più le mance. Fa il porter in un quattro stelle.

"Lillì ne prende quattro e trenta." Marika.

"Lillì c'ha i giri suoi." Augusto.

"Ma perché non ve fate li cazzi vostri." Matteo.

Stanno dritti davanti alla cassa con un cestello vuoto e un pacchetto di farina in mano. Davanti un'ottuagenaria depone il malloppo al rallenty: lattuga, latte, salsicciotti plastificati, pane in cassetta e spaghetti in scatola.

"Ma come cazzo magnano?"

"Augù, e statte zitto che questi magari pure capiscono."

La pakistana conta il resto e lo depone sulla mano dell'ottuagenaria che lo riconta confusa. La merce sparisce nel carrellino.

"Il lievito ce l'avranno?" Marika.

"E mo' come cazzo se dice lievito in inglese?" Augusto.

"Yeast." Matteo.

"Ce l'avranno 'sto ieaistt?" Augusto.

"Augù, io glielo pijo lo stesso. Matté che ce un altro pound e trenta? A me me pagano venerdì. Il resto della spesa l'ha fatta Giancarlo. Mo' che ha pagato i buffi sta senza 'n penny pure lui."

Addio Henry.

Alla quattordici Federico impasta coi Portishead. Nobody loves me... E canta. Assunta e Beatrice passano l'aglio sulle bruschette. Valeria taglia la mozzarella. Armando è addetto al pomodoro.

Quando salgono è già party.

"L'avete accesi i forni?"

"Giancarlooo!!! L'hai accesi i forniii???"

"Sììì. Alla sedici, la dieci e la diciotto. Ne volete altriii???"

"Nooo. Bastano. Portaci le teglieee."

Carla imbocca la porta con Mike.

"Ciao Mike" Dice Beatrice con due occhietti da cerbiatto. Dinocolata e ondulata.

"Hi Beatrice." Dice Mike in tenuta da gala.

I riflettori sono su di lui.

"Che mangi la pizza con noi?" Beatrice.

Carla traduce.

"Yeah. Pizza. Yeah."

La coppia risparisce.

"Ma chi cazzo è?" Federico.

"E' l'omo de Carla. Viene dai Caraibi. E' uno fico." Valeria.

"Secondo me c'ha i sordi." Marika.

"Lavora alla city. Gli escono dalle orecchie." Beatrice.

"Carla l'ha preso il sussidio?" Assunta.

"No, sta ancora a aspettà. Dicono che hanno perso le pratiche. Ha dovuto rifà tutto daccapo. Mo' je tocca aspettà altri due mesi." Giancarlo.

"Vabbé ma se c'ha l'omo coi sordi..." Marika.

"Che la potemo toje 'sta lagna. Metti Venditti che è meglio." Valeria.

Ma Matteo è già in pole postion alla consolle: un radiolone comprato di terza mano a Camden Town. E' di Lillì, ma è proprietà di tutti. Mette Music For The Jilted Generation e si distende allampanato. Lui e Lillì l'hanno comprato insieme a Soho. Lui e Lillì sono in sintonia, quando gira a Lillì.

"Matteo. Che fa Liliana stasera, viene?"

"No. Magari ci raggiunge più tardi." Dice rollando.

"Seh!... nell'anno del mai! Lillì c'ha dato buca. A Matté fatte 'na bevuta e infarcisci perché ce n'avemo pe 'na settimana. Carica. Anzi, stra-ca-ri-ca."

Giancarlo ha stappato tre bottiglie. E' addetto alla mescita. Parte il brindisi a dodici mani.

"Alla salute delli mejo mortacci loro!"

"Alla salute."

Ventidue e quaranta.

La pizza è consumata ma non ancora digerita. Il vino un ricordo. Michela lava i piatti. Augusto raccoglie le teglie e le posate. Valeria scarica la spazzatura. Gli altri sono ammassati alla quattro che è la più grande.

Giancarlo ha preso la chitarra e le ragazze cantano Wish you were here. La cortina di fumo si taglia con il coltello.

"Chi è che va all'off licence prima che chiude?"

"Vado io." Dice Federico che ha sette sterline che hanno voglia d'essere bevute.

Ventitre e quindici.

Matteo sta affianco alla finestra e guarda fuori. E' già l'ottavo 77A, ma di Liliana neanche l'ombra. Augusto è in tresca con Beatrice. Assunta ha puntato Cesare. Mike e Carla parlano con Valeria. Giancarlo posa la chitarra e rolla. Qualcuno la spunta e mette il CD di Venditti.

Giù in strada il pub sta per chiudere. Due ubriachi fanno a botte. Una donna strilla. Un altro piscia sul muretto.

Che bella città.

Matteo si accascia e fuma.

"Ah chiacchiero'..." dice Marika accoccolandosi, "perché non andiamo alla mia? Stamo più tranquilli."

Lui la guarda e dice:

"Annamo và."

Spariscono su per le scale.

La stanza di Marika è piccola come quella di Matteo ma più ordinata. C'è un romanzo di Milan Kundera con un orsacchiotto sopra. Profuma come un campo di fiori.

Si siedono sul letto e rollano Golden Virginia.

"Tu ce pensi mai a ritorna'?" Dice lei.

"A fa' che?"

"Ma non te manca Roma?"

"Sì, e allora? Perché te vuoi tornare?"

Marika ride dietro il caschetto nero. Ha gli occhi furbi e vivaci.

"A fa' che? Mi padre m'ammazza. Però Londra m'ha scassato."

"Pure a me, ma 'sti cazzi."

Matteo fuma con la testa reclinata all'indietro. Lei lo guarda con un gomito appoggiato al mento.

"Perché non pijamo l'income pure noi? Se ce danno pure l'housing stiamo meglio di dieci pound la settimana. Qua stamo a lavorà come due stronzi."

"Non lo so. Io tiro fino a dicembre. Poi vedo."

"Vedi che?"

La scollatura di Marika regala un'immagine gradevole. Ma Lillì è sempre Lillì. E lei non è ancora tornata.

Porca puttana.

Matteo allunga la mano. Marika distende le labbra. La stanza vira di quarantacinque gradi. Fuori piove e lei spegne la luce.

E' un amplesso affrettato e scomposto, senza slanci né passione, poi si addolcisce. Arrivano le carezze e i corpi combaciano.

L'una e trentacinque.

"Dormi qui?"

"No il letto è piccolo. Scendo alla mia."

Tra le pieghe delle lenzuola a mano a mano riaffiorano i vestiti. Quando Matteo apre la porta è in mutande, con un fagotto e le scarpe in mano.

"E bravo Matteo..."

Sul pianerottolo davanti a lui c'è Liliana occhi a mandorla, con la chiave nella serratura che gli strizza l'occhiolino e sorride.

La bocca di Matteo è una voragine piena di voglia di morire. Sta per replicare ma Liliana gli ha già augurato la buonanotte e richiuso la porta.

Le due in punto.

Sotto le lenzuola, Matteo contempla il soffitto contando i riflessi delle veneziane.

Tre ore e mezza e poi:

Bip bip. Bip bip. Bip bip.