Stefano Zuccala aono Stefano Zuccalà, ho 19 anni tristi e gioiosi, e credo ancora nella letteratura. Scrivo racconti e poesie da circa un anno (pubblico su una rivista locale) e ultimamente sto anche lavorando ad un romanzo. Non ho mai partecipato ad alcun concorso (d'altronde non credo che la maggior parte dei concorsini che vengono fatti significhino granché). Sono iscritto alla facoltà di lettere da un anno, mi ammazzo ogni sera sul computer a correggere bozze di bozze di bozze e..........non so, mi si è distaccato da qualche tempo un pezzettino di cervello sintetico, non riesco a trovarlo più. Boh. |
Conversazione a due L'arrivo scrosciante e improvviso del temporale zittì le bocche e le gole dei due tizi davanti al bancone per un intervallo di tempo da zero a uno. Poi, presa coscienza dell'imponente massa d'acqua in saette di idrogeno che fuori dal bar aveva iniziato a fare umido il respiro molle della sera, le parole riemersero pian piano, a volume più basso. Quel crack fulmineo era sembrato probabilmente un monito, un rimprovero, non si poteva continuare a sostenere le argomentazioni con una tale convinzione e un rapimento dialettico così acceso, bisognava riannodare i fili logici con maggiore grazia e raffinando i toni. Un uomo grasso e barbuto sedeva ad un tavolino sulla sinistra dell'entrata fingendo d'essere concentrato sul giornale e sulla pinta di birra che giaceva innanzi a lui; in realtà tendeva con noncuranza l'orecchio alla discussione che si srotolava più in là, davanti al bancone, fra i due tizi scavati avvolti in impermeabile che continuavano da circa un'ora a centellinare whisky e a raccontare delle proprie vite e delle loro intime costruzioni mentali. Il barista poggiava contro il lavandino a braccia conserte e di tanto in tanto fissava l'orologio a muro con occhiate patetiche ed annoiate. Sarebbe stato bello se fosse stato prossimo all'orario di chiusura, ma doveva stringere i denti e massaggiare i nervi col pensiero ancora per un po', non poteva né doveva perdere assolutamente il controllo dei propri movimenti. Movimenti stanchi, di resa estrema. Movimenti minimi irrisolti, alla periferia dell'ultima danza di festa. Uno dei due uomini in impermeabile buttò giù il whisky d'un sorso e ne ordinò ancora un altro. Ancora un altro, ancora un'altra occasione nella vita ci sarebbe voluta. Poi riprese a chiacchierare con l'altro tizio. << Vedi, ho buttato giù il bicchiere d'un sorso. Così come ho buttato giù la mia piccola parte di grazia divina d'un sorso, senza pensare a niente, a niente niente niente. Ma di whisky ce n'è sempre abbastanza, ne converrai. Di Dio, di grazia divina, ce ne una sola, volendo proprio metterla in mezzo. >> << Sbagli. È qui che sbagli. La grazia divina dovrebbe essere infinita e incontenibile. Ammettendone l'esistenza, in teoria noi potremmo andare in giro per strada con ali azzurre senza posare i piedi per terra. Ma questo succede? No, che non succede. Dio è un'invenzione dei nostri bisnonni contadini. Tutto qua. >> << Mmmh forse hai ragione, eppure qualcosa sì, credo che Dio sia principalmente una nostra creazione, un ideale effimero e d'armonia a cui tendere, più o meno consapevolmente. Dio, così come l'Amore, è una nostra presunzione puramente estetica, di forma. È la nostra fame d'armonia. >> << Esatto. Tutto qui. Lo sai cosa mi viene in mente? Mi viene in mente mia moglie. Lo sai, vero?, ha perso i genitori praticamente da bambina, quindi per lei Dio esiste, non come concetto, ma proprio come entità palpabile sul petalo di un fiore >> << O sulle pareti di un ospedale >> << ...No. Vedi, per mia moglie Dio esiste solo dove esiste bellezza. >> << E ricadiamo dunque nel discorso dell'estetismo, della forma ..a questo punto Dio mi appare quasi come una grande industria televisiva, ti sforna bellezze su bellezze ma comunque ti fa vedere che nel mondo anche il male fa il suo gioco di merda . >> << Sì, diciamo che è così, per mia moglie. Per lei. Capisci, se uno perde i genitori a dodici anni, Dio deve esserci. Per forza. O Dio prende forma dalla tragedia ( è il caso di mia moglie ) oppure ne diventa il colpevole e lo si maledice ad ogni piè sospinto. >> Fuori la pioggia continuava a battere furiosamente. Non più pietà per i fiorellini o per gli anziani senza ombrello. Non più memoria, non più radiosi futuri da attendere sui guanciali dei propri incubi. Un'auto passò sfrecciando sul cemento riversando lo sporco contenuto di una pozzanghera sui pantaloni nuovi di zecca di un pensionato. In alto, un fulmine, come un flash di un'immensa macchina fotografica. << Non credi? Stiamo esagerando con il whisky. Siamo già al quarto. Magari arriviamo a casa fradici ( di pioggia e di alcool ) e le nostre donnine si mettono a sbraitare. Come la mettiamo? >> << La mettiamo che ..scusi scusi: due altri Jack Daniel's, per cortesia . >> Il barista sempre più annoiato e nervoso riempì i bicchieri. Tornò a poggiarsi braccia conserte sul lavabo traboccante di tazzine e cristalli. << Te l'ho già detto, vero? La settimana scorsa ho vinto dodici milioni giocando al Lotto. >> << Cosa? No, non lo sapevo mica. E con il lavoro, com'è che sei messo? >> << Bah, niente di particolare. Anzi no, tutto di particolare. Si fa quel che si può e non si fa quel che si dovrebbe. Da quattro giorni sto lavorando al logo pubblicitario di una ditta di detersivi al plutonio. Continuo a stracciare fogli su fogli, tavole su tavole . >> << Strana, la vita. Ricordo ancora quando al liceo dicevi di detestare i meccanismi di persuasione, di mercato. E poi, THACK!, ti ritrovo grafico pubblicitario. >> << Succede. In fondo se ci pensi non è poi così assurda la questione. Se odi a morte qualcosa, per difendertene devi innanzitutto conoscerne l'anima. Diventando grafico pubblicitario comprendo l'imbroglio di base e ci lavoro su, ma restandone sempre al di fuori. Combatto la pubblicità dandole nuova linfa >> << Seeee arrampichiamoci sugli specchi >> << Sul serio. È così. >> Fuori passò un'ambulanza sfrecciando e illuminando per un istante l'interno del bar. E si ritrovarono tutti in comunione a portarsi le mani sotto i coglioni. Il cucchiaino Con l'arrivo della bella stagione le mosche avevano iniziato a ronzare intorno all'esistenza di Teo infastidendolo particolarmente. Soprattutto nei momenti di maggiore relax, davanti alla TV con un panino al salame e una birra a basso costo e a bassa gradazione alcolica, ma anche durante le interminabili ed asettiche ore di lavoro davanti al computer. Gli occhiali spessi continuavano ad appannarsi e a rendere ostile e faticosa la battitura dei documenti, Teo ogni tanto si fermava, si metteva a fissare un punto indefinito nel vuoto del muro e andava poi a sciacquarsi la faccia sgraziata pensando al viaggio che di lì a poco avrebbe intrapreso, valutando i pro i contro di uno, una vacanza a Cuba due, un ritiro spirituale presso il convento dei francescani in cima al monte dell'Eterno Ritorno tre, una visita di due settimane alle rovine dell'ex impero sovietico. Quel pomeriggio decise di lasciare perdere, avrebbe chiesto al capufficio una proroga e avrebbe concluso il lavoraccio con maggiore calma, più tranquillità. Non si poteva andare avanti così, la scoliosi galoppava parallelamente all'esaurimento nervoso, poi tutte quelle maledette mosche, non si poteva proprio. Teo allora salvò il materiale su dischetto, spense l'infernale apparecchio e accese la radio in salotto. Le frequenze cominciarono a rincorrersi caoticamente. Sfrigolii, fruscii, qualche melodia emergeva di rado con la testolina, sbavature elettriche. La spense. Andò in cucina e prese a farsi una spremuta d'arancia stando bene attento a non buttare via nulla della polpa. Per libera associazione gli venne in mente che 'del maiale non si butta via nulla', e che la vita, per quanto triste ed enigmatica, va strizzata adeguatamente come uno stracciato bagnato, va vissuta e portata allo stremo. Ma forse quelle erano solo considerazioni da film di bassa qualità. L'aranciata a lui piaceva con molto zucchero. Così aprì il cassetto, afferrò un cucchiaino e si mise ad osservare il riflesso distorto del suo viso nel cavo della posata d'argento. Notò che si presentava ai suoi occhi molto diverso da quello che indagava ogni mattina in bagno prima di farsi la barba. La mamma è al manicomio La mamma è al manicomio. Non so cosa le è preso. Fatto sta che un giorno, più o meno un mese fa, ha tentato di spaccarmi in testa una padella in acciaio inox diciottodieci. E continuava ad urlare, ad urlare, a ripetere che dovevo necessariamente trovare un'occupazione fissa, che i lavoretti per i vicini non bastavano mica più al nostro sostentamento. Non so cosa le è preso. La mamma è al manicomio. Quando vado trovarla fingo senza pudore di essere molto felice di vederla ( uno degli infermieri mi ha infatti consigliato di non tenere il muso davanti a lei e di non chiacchierare di cose serie, tipo religione, droga, razzismo e debito pubblico ). La mamma è al manicomio. Quando vado a trovarla le porto sempre una rosa, perché in televisione ho sentito che la rosa è simbolo d'amore e racchiude un'infinita gamma di implicazioni affettive difficilmente contenibili, ad esempio, in una scatola di cioccolatini da ventimila lire. Mia mamma è al manicomio e mi sento relativamente più libero e tranquillo. Lei Lei amava la prosa sottile e raffinata, ricordo quando la sera ci si metteva a leggere a letto. O quando facemmo l'amore sul tavolo della cucina. Eravamo al massimo, tutto sembrava filare liscio. E adesso, Cristo di un Dio, sono qui, in riunione aziendale, ad ascoltare stupidi deliri da mercanti. Il target. Le meccaniche dell'Iva. In queste riunioni non si ciarla mai della morte, la morte schifosa. Non si ciarla mai dei problemi seri dei dipendenti. Tipo io, che adesso mi trovo qui, in riunione aziendale, su questa maledetta poltroncina così scomoda. Io, non posso ad esempio alzarmi e davanti a tutti mettermi ad urlare sul perché Lei se ne è andata per sempre dalla mia vita. Lei amava la prosa sottile e raffinata, i libri di quel lascivo e perverso di D'Annunzio, 'Il Gabbiano' di Jonathan Livingstone ed altre cose così. Ricordo quando facemmo l'amore sul tavolo della cucina, e io avevo dritta sparata in faccia la luce del lampadario sotto al quale tante e tante volte si era mangiato insieme. Ma quella volta, si faceva l'amore. Vorrei che questi stupidi esseri la smettessero di parlare e si mettessero invece ad occuparsi del mio complesso squilibrio sentimentale dopo il fallimento della storia con Lei. Lei, era un sogno e faceva commuovere persino le lucertole quando si facevano le gite in campagna. Lei, era un sogno e valeva miliardi di tramonti e miliardi e miliardi di 'Via Col Vento'. Lei, s'interessava anche di chimica e di cosmo, e mi sapeva fare impazzire a dovere, ma allora si trattava di una pazzia sana, non malata e incontrollabile come quella d'adesso, che sono qui in riunione e vorrei ammazzare tutti questi stronzi seduti. Fondamentalmente, sosteneva mio padre prima di morire, la pazzia si divide in due parti o componenti, come il mondo in Bene e Male (che è diverso però dal dire 'va bene' o 'va male', si tratta proprio del Bene e del Male con la lettera maiuscola, due concetti astratti e differenti ). La pazzia si divide, diceva mio padre prima di morire, in Pazzia Buona e Pazzia cattiva. La Pazzia Buona è quella di quando le donne ti fanno impazzire ( come a me succedeva con Lei ), la Pazzia Cattiva è quella dei tizi che ammazzano la gente senza motivo o si mettono ad urlare in mezzo alla strada. La Pazzia dei preti, diceva mio padre, è tutta un'altra cosa, lì si parla di contatto divino, di estasi mistica come quella contenuta in alcune recenti composizioni musicali. Ciò che diceva mio padre, era sensato e giusto. Ma di certo non mi aiuta per niente ad uscire da questa schifosa e sconveniente situazione di stallo, qui in riunione. Infatti, inizio persino a confondere il viso del direttore aziendale con il viso di Lei, e immagino di poter scrivere su queste cartacce gialle una lettera d'amore per Lei che se ne è andata e di dirle che Lei era un sogno Ritorno a casa Giunto davanti al portone di casa si mise a cercare le chiavi stando bene attento a non far cadere per terra il manuale di filosofia tedesca comprato qualche settimana prima. Torse il braccio e il busto in modo da poter agguantare il mazzo scampanellante continuando a tenere stretto sotto l'ascella sinistra il pesante tomo di già leggermente spaginato. La rilegatura stava iniziano a cedere. La colla dei libri non era più quella di una volta. Aprì, richiuse il portone a due mandate. Prese a fare le scale, dimenticando di accendere la luce, ma forse non cambiava proprio niente, oramai conosceva a memoria il numero e l'altezza di ciascun vecchio gradino, non sarebbe cambiato niente se avesse avuto la possibilità di vedere le pareti crepate del muro, e i quadri di cattivo gusto appesi lungo il tragitto ascensionale. Perse leggermente l'equilibrio all'inizio della seconda rampa, per un solo istante subito obliato sentì nelle ossa il peso di una vecchiaia che magari non sarebbe neanche arrivata, chi poteva dirlo, solo Dio poteva dirlo, Dio che più volte sua madre nominava nel corso dei lunghi inverni, Dio che ci avrebbe salvati tutti dal baratro del peccato e dalle fiamme potenti dell'Inferno. Dio, il nostro Dio; non più il suo Dio. Si accorse di avere il fiatone, si fermò un attimo poggiandosi al muro stringendo forte il libro e cercò di abituare gli occhi stanchi e vuoti all'oscurità della terza rampa, la peggiore, quella che l'avrebbe condotto alla porta d'ingresso e da lì nell'inferno domestico, il peggiore Inferno, altro che Satana il caprone il peccato la morte l'eterna sofferenza . Il Male abissale giaceva nel focolare, in cucina nel cesso davanti al camino allo specchio agli armadi alle scope ammucchiate. Il Male dissimulava abilmente le sue minime atrocità casalinghe, assumeva le forme apparentemente immote dei suppellettili e degli oggetti più stupidi e chi se ne accorgeva, chi se ne accorgeva del Diavolo sotto il letto. Chi se ne accorgeva del Diavolo in faccia ai padri. Riprese. Riprese a macinare gradini molto lentamente. Le gambe gli dolevano. Arrivò sul pianerottolo e aprì la porta e si diresse piano in camera cercando d'assumere una compattezza quasi da spettro, stando ben attento a non svegliare nessuno. Poi depose il libro e il giaccone sulla sedia di legno tarlato. Ed ecco, ecco che la voce stizzita di suo padre si fece avanti da lontano, da molto lontano, dall'Inferno di un'altra stanza, e diceva quand'è che ti metti a lavorare, siamo stanchi di te, quand'è che imparerai a non attendere la mezzanotte prima di tornare a casa, non sarai mica un ubriacone un drogato, non sarai. E sua madre giù a dire chi ti vede più?, chi ti vede più?. Serrò gli occhi e pensò fra un po' sarà tutto finito, fra un po' verrai avvolto dalle lenzuola bianche e cadrai nel sonno, e finalmente anche questa giornata sarà passata, passata come un'esistenza anteriore di cui si perdono le tracce e i contorni in quella successiva, e sarai morto ancora una volta, ancora una volta morto pronto al secondo risveglio e al terzo e al millesimo L'UOMO DEGLI ECCESSI (liberamente ispirato a un componimento di Morgan) poggio il gomito sdrucciolevole sul tavolino e la mano premuta contro la guancia violetta farfalline di luci e ghirlande di sensi svolazzano visibili solo in determinati istanti attimi momenti da una parete all'altra e di nuovo a quella attraversando i corpetti bagnati e danzanti in questo disco-pub molto si perde del continuum fra flash infinitesimi e altro che sgambettano da sponda a sponda in pista la strobo non concede idea di movimento e il gomito poggiato sul tavolino e la mano premuta contro la guancia violetta cos'è che mi ha detto quel tizio al mare la scorsa estate non ricordo di preciso qualcosa sulla vita sul tempo comunque sorseggio il mio cocktail pensando al fungo atomico e alle guerre che s'inoltrano in Oriente la strobo non concede idea di movimento e domani forse a pesca la mano premuta sulla guancia violetta il gomito poggiato tavolino quand'è che arriva l'Uomo degli Eccessi eccolo che bacia mi scorge da lontano faccio un cenno alzando il braccio una fitta fitta al polmone l'Uomo degli Eccessi viene a sedere - Magnifica serata cos'è che desideri? - - Quello che tu sai - l'Uomo degli Eccessi scompare nella strobo cammina via meccanico fra un poco sarà qui con quello che lui sa le polveri tremende questa sera non è ancora favolosa ma fra un poco lo sarà qui con quello che lui sa le polveri se solo fossi andato al cinema con Linda da solo al disco-pub con il gomito poggiato eccolo che arriva l'Uomo degli Eccessi è tornato un lampo mi guarda mi dice sorride si siede mi dice - Contanti- mi dice - Contanti- mi dice |