Rino Casazza

Sono nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurispudenza a Pisa mi sono trasferito in Lombardia. Attualmente risiedo a Bergamo e lavoro a Milano, nella Direzione Organizzazione del Teatro alla Scala. Sono da sempre un appassionato della letteratura di genere.
Ho pubblicato diversi racconti, la maggior parte gialli ma anche fantastici ed horror, alcuni su riviste professionali di un certo livello, come  Il Giallo Mondadori e G. La Rivista del Giallo, oltre ad un romanzo "L’UNICO TESTIMONE", presso l’editore Mario Modica di Pavia.

SALVO !?

Il celebre ittiologo era così assorto nei propri pensieri, mentre passeggiava lungo il bagnasciuga, che si accorse della gigantesca onda anomala solo all’ultimo momento.

Si volse di scatto verso il largo, e si ritrovò sovrastato da una muraglia d’acqua alta più di venti metri, in procinto di scaraventarsi sulla spiaggia.

In quei drammatici istanti il timore per la propria vita si mescolò alla preoccupazione per la sorte dell’Osservatorio Oceanografico Sperimentale, che campeggiava un centinaio di metri dietro di lui, protetto solo da uno sparuto boschetto di palme.

Il rischio che l’immane cavallone imprevedibilmente sbucato dal mare in completa bonaccia lo facesse a pezzi era più che concreto. Prima di sprofondare nell’incoscienza, pensò che c’era un’amara ironia, in quell’inatteso e virulento fenomeno naturale. Adesso che, dopo aver combattuto come un leone per difendere l’Osservatorio dagli attacchi del Movimento Animalista, ce l’aveva quasi fatta ad evitarne la chiusura, era il bizzoso e irascibile Dio Nettuno a dare una mano ai suoi irriducibili avversari...

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Si risvegliò sdraiato, con una sensazione di freddo in tutto il corpo.

Sulle prime pensò di trovarsi nel letto di casa e che le coperte gli fossero scivolate di dosso durante il sonno. Poi ricordò la spaventosa scena sulla spiaggia e si rizzò a sedere di scatto, in preda all’angoscia.

Il luogo dove si trovava era avvolto in una penombra azzurrastra.

– La luce di notte degli ospedali! Allora sono ricoverato! - pensò subito, con un senso di sollievo.

Allungò le mani ai lati del letto, in cerca del comodino, dove doveva essere appoggiato il campanello per richiamare gli infermieri. Trovò il comodino sulla destra, ma sopra c’erano solo una caraffa e un bicchiere.

Provò a tastare dietro di sé: forse la suoneria era attaccata alla spalliera. E lì infatti trovò un pulsante che penzolava da un filo, ma quando provò a pigiarlo si accorse che era duro come un macigno.

- In che razza d’ospedale sono finito? - si chiese perplesso. Solo allora percepì il motivo del freddo che l’aveva destato: era completamente nudo.

Dopo un attimo di profondo stupore, si mise a cercare le coperte, ma scoprì che in quel letto non ce n’erano. Di più: non c’era nemmeno il materasso. La superficie che lo accoglieva era rigida e compatta, di un materiale che al tatto sembrava plastica. Sempre più inquieto, aguzzò lo sguardo, che stentava ancora ad assuefarsi alla tenue luminosità bluastra che pervadeva l’ambiente, e lo fece scorrere febbrilmente intorno a sé.

Si trovava in una stanza di medie dimensioni, ammobiliata in modo essenziale: oltre al letto con comodino c’erano soltanto un tavolino con due sedie; un lampadario a globo sospeso dal soffitto, spento; una porta, chiusa; e una finestra con le imposte socchiuse. Il lieve chiarore blu penetrava da lì.

La sua agitazione crebbe a tal punto che non seppe trattenersi dal chiamare aiuto. - Ehi, c’è nessuno qui? Guardate che mi sono svegliato! –

Niente. La sua voce rimbombava nel silenzio. Ripeté il richiamo, di nuovo senza risposta.

- Calma!- si disse, lottando contro il panico - Sei uno scienziato, no? Ragiona, allora! -

Il suo sguardo scattò verso il soffitto. Il lampadario! Da qualche parte doveva pur esserci un interruttore per accenderlo, no? Scrutò le pareti alla sua ricerca.

Eccolo là! esultò, scorgendolo sulla sua destra, a qualche metro dalla spalliera.

Impaziente, mise i piedi a terra e vi si diresse.

Quando provò a premerlo, constatò con sgomento che era bloccato come il pulsante della suoneria.

Colto da un angoscioso sospetto, tornò ad esaminare gli altri oggetti dell’enigmatica stanza, passando lo sguardo dall’uno all’altro con espressione stralunata.

Infine, si avvicinò al comodino, cercando di alzare il bicchiere.

Era di plastica e letteralmente incollato al ripiano. Così la caraffa.

Fu allora che, con la coda dell’occhio, notò un altro particolare inquietante riguardo alle coperte: non era vero che mancavano, erano semplicemente modellate in bassorilievo tutt’intorno alla struttura del letto.

Fu invaso da un senso di disorientamento così forte che temette di perdere il controllo di sé.

In un sussulto di forza di volontà, si impose di concentrarsi nell’esplorazione del luogo, scacciando ogni altro pensiero. Dopo aver verificato che anche il tavolino e le sedie al centro della stanza erano di plastica e ancorati al pavimento, si avvicinò cautamente alla finestra.

Allungò le mani per aprire le imposte, sperando con tutto se stesso che almeno queste non fossero rigide.

Nel constatare il contrario, fu assalito da un’improvvisa paura: e se anche la porta fosse bloccata?

Per lunghi attimi rimase a fissarla con ansia. Così da lontano, nella penombra bluastra, era difficile stabilire se fosse una porta normale, oppure...Possibile che fosse davvero imprigionato?

Cercando rassicurazioni, accostò l’occhio alla fessura tra le imposte. Attraverso lo stretto pertugio, non riuscì a vedere altro che una strana e indefinibile distesa azzurro scuro.

Prendendo il coraggio a due mani, si avvicinò alla porta e impugnò la maniglia. Un senso di sollievo lo invase scoprendo che girava ma poi, istintivamente, indugiò prima di tirare a sé il battente.

Che cosa lo attendeva là fuori? Era prudente uscire? Purtroppo per lui non aveva alternative valide e, troncando quell’oziosa riflessione, aprì.

Di colpo si trovò davanti, diffusa per l’intero campo visivo, la distesa azzurra intravista attraverso le imposte. Emanava una luminosità fluttuante e deformata che i suoi occhi, abituati alla penombra della stanza, non riuscirono a sopportare, e fu costretto ad abbassarli.

Ai suoi piedi c’erano due gradini in similplastica rozzamente imitante il marmo.

Lottando contro l’accerchiamento sgradevole del chiarore azzurro, riuscì ad alzare un poco lo sguardo e vide che al termine dei gradini iniziava un breve vialetto in ghiaino plasticato, che attraversava un piccolo prato all’inglese con aiole e fiori stilizzati, anch’essi tutti di plastica.

Ma la scoperta più inquietante era che il pratino confinava, era anzi costruito sopra, un pavimento trasparente, ad occhio e croce di vetro, che lasciava intravedere sotto di sé una superficie porosa e muschiosa, simile in tutto e per tutto a un fondale marino. Marino? L’ittiologo si sentì di colpo soffocare. Schermandosi la vista con la mano, guardò in alto.

La distesa azzurra (acqua di mare, Dio mio, era acqua di mare!) faceva da tetto a lui ed al locale da cui era uscito, estendendosi a perdita d’occhio.

Guardò a destra e a sinistra e in profondità la visione non cambiava.

Di colpo, l’acqua che lo circondava ad un’imprecisata distanza incominciò a ribollire, facendo tremare tutto. Istintivamente, si resse allo stipite della porta. Tutt’intorno lo sfondo azzurro prese a macchiarsi di indistinte sagome rosse che ingrandivano avvicinandosi rapidamente. Nell’arco di qualche frazione di secondo le sagome arrivarono ad occupare l’intero campo visivo, assumendo la forma di giganteschi corpi ovali pinnati.

Paralizzato dal terrore, l’ittiologo si ritrovò circondato da un fitto branco di pesci rossi che, accostando i musi alle pareti della vasca di vetro che lo imprigionava, scrutavano dentro con grandi occhi inespressivi.