franc'O'brainÈ nato in Italia ma vive in Germania da svariati anni. Con Rap Fiction ha vinto nel '99 il concorso "Dipendenze" indetto dalla rivista Addictions (il racconto è stato pubblicato in forma di small book). Il testo che segue - I dolori di Cyberius - è suddiviso in quattro "takes" o capitoli che narrano altrettanti momenti nella vita di un individuo dei nostri giorni. |
I dolori di Cyberius Take one (La foresta dei Grimm) Qui Babilonia, vi parla franc'O'brain. Oggi è - finalmente! - scoppiato il sole, sun, Ra, soleil. E pensare che soltanto fino a dodici ore fa la temperatura si aggirava sui meno tre gradi... Sono solo, solo malgrado la gran folla di fantasmi tutt'attorno. Sono solo ed è gennaio. Se l'Italia fu un incubo ben riuscito, la Germania è una fiaba alquanto sbilenca. Ma dove altro poteva quagliare la mia malinconia, se non nel purgatorio di un paese di intese precarie, prati di silenzio e nevi di rimpianto? Là fuori, ora, boschi gocciolanti. E tu non qui; o io non lí, da te. Ci resta questo sguardo sghembo sulla retroguardia depressa della natura. Vorremmo andare incontro a quegli alberi... e montiamo sull'automobile che, intirizzita, ci ha attesi dentro il garage. È questo il problema attuale: tutti vogliono tornare alla natura, ma nessuno a piedi. Le strade, pertanto, non conducono certo a distese verdi. Ricordo le campagne lunari e lunatiche del sud, e le brulicanti cittadi... È il Nepal, la mia alma mater. E tu il mezzo di trasmissione per cui riesco ancora a volare. So di avere l'aspetto di un picchiato picchiatore (non ho piú vent'anni, del resto: ne ho ventuno) e non poche ragazze, e nemici, fremono all'appressarsi delle mie spalle carnose, dei miei bicipiti di ferro e della mia pancia a barile. Quello che ignorano è che, nonostante le apparenze, anch'io necessito di calore, di affetto; al pari di un bimbo. Necessito amore: percettibile, plausibile, piú speziato di qualsivoglia pasticcio commestibile. E invece che cosa ho? Che cosa mi rimane? Mi rimane la tua cartolina dal Portogallo, che mi tocca custodire come un briciolo d'oceano. Dunque eccomi in auto mentre mi accingo a raggiungere un posto isolato - il buco del culo del mondo. Durante il percorso (risibile, la cosiddetta carreggiata carreggiabile che si apre davanti al parabrezza: i buchi! i buchi!... Soltanto stamani, davanti alla mia abitazione, ho udito la bambinaglia irridere - me? -: "Il cu-cu-u-u-lo senza bu-u-uco... hi hi hi!"), spengo l'autoradio e, nel silenzio della meccanica, canticchio una mia vecchia canzone ispirata al tema dell'Aprés midi d'un faune. Canzone a tratti schioccante, a tratti suasiva e afosa; umida canzone: canzone del bacio. Il bacio della mamma, il bacio della prima amata, il bacio della prima moglie... La melodia diventa stonata, in sintonia con la condizione del fondo stradale (buchi buchi bu'): il bacio alla russa, il bacio a tradimento di una checca (la linguaccia dapprima nell'orecchio e poi in fondo alla gola), il bacio di Giuda, il bacio di cavallo... I miei, di cavalli, muoiono sul limitare di una selva oscura, al cospetto di stalattiti e stalagmiti che rifulgono a un sole sempre piú vago. E adesso? Dovrò davvero scendere e, nudo, senza piú il rivestimento di latta, proseguire a piedi? Cavallo di San Francesco... Esito. È utopico credere che in questi sperduti paraggi ci si possa imbattere in qualcuno dal quale ricevere dell'ausilio. Ogni cosa tace. E, se riaccendo l'autoradio, curiosamente mi giungono alle orecchie le voci di fiere straziate, irose e contagiate di mondo, che dimorano nella foresta. No, no. Che ogni cosa rimanga muta. Preferisco il silenzio. Intanto il sole scompare. E ripiomba l' inverno. Inverno eterno. Per sentirsi un po' di calore sulla pelle, in questa stagione e in questi meridiani bisogna entrare in un Solarium. Ci si ritrova nudi nella cabina, sdraiati dentro un sarcofago, con le lampade a UV che ci bruciano le labbra. Freddonia. Momenti di annichilamento, di sfacelo. È come un brutto videogioco. Molti se ne scappano nella Repubblica Dominicana per segregarsi in hotel-lager costruiti da ditte europee e americane a ridosso di lidi un tempo incontaminati, e in quei bunker di lusso arieggiano i grassi prosciuttoni mentre schiavetti bruni pescano schifezze dall'acqua della piscina; e poi, vestiti nelle uniformi stile "tipo da spiaggia", questi tedescacci (inglesacci, svedesacci, italianacci) marciano ubriachi verso i bordelli dove per un pugno di dollari possono sodomizzare fanciulle e fanciulli e corrispettive madri... Questa pace tutt'attorno! Uàaaaah! (Sbadiglio.) Vado. L'azione è molto meglio di un crepare freudiano. Apro la portiera. Brrr. (È il vento a farmi tremare.) Se almeno qui con me ci fosse l'amico Manu Kyoto! Nelle nostre città, Manu Kyoto - che proviene dallAfrica Centrale - si muove come un gorilla, impacciato, contorto. Soltanto davanti a un jardin public riesce a trovarsi a suo agio: sale sugli alberi, segue orme di animaletti e si ferma a sniffare sapientemente l'aria - robusti peli protendentisi come antenne sensitive dalle sue nari... Manu Kyoto mi guiderebbe, adesso, per un sentiero a me invisibile attraverso questa muraglia di pioppi e abeti rantolanti perché cardiolatenti. Ma forza, forza! Al di là della selva attendono, forse, un'alba o un tramonto liberatori. Avanzo nella giugla siberiana: pavido, nicotinante relitto, eccitato; rettile birrasciancato. Scivolo su lastre di ghiaccio. Striscio, zampetto; ratto drogato. A ogni secondo sul punto di girovoltarmi e tornare indietro di corsa - le mutande sporche -, saltando sterpi e inciampando su radici sporgenti. In qualità di scrivano metropolitano, sono abituato a determinati microclimi: il mio salotto con i suoi schermi e le sue tastiere, le botteghe e gli uffici pieni di luce, camere da letto con l'aria condizionata, l'abitacolo dell'automobile con i suoi magici auto(s)parlanti... insomma, le comode nicchie della nostra civiltà. Qui invece c'è un silenzio che ruggisce, un'umidità che corrode. Una selva, appunto. Viva, reale, non telematica. Foresta = fiaba. L'equazione si presenta spontanea. Mi viene l'idea di una fiaba "riadattata" al nostro mondo: il Principe Dalle Labbra Di Fuoco (perché ha mangiato qualcosa di piccante) bacia la Principessa Di Ghiaccio (Di Ghiaccio perché in tanti l'hanno accusata di essere frigida, finché lei non si è convinta di esserlo). L'ardore del bacio "risveglia" la principessa e i due decidono di andare a mangiare una pizza insieme; ma la loro via è disseminata di numerosi ostacoli. Un nano idrocefalo, cattivissimo, li perseguita per tutto il tempo. C'è un ruscello d'ammoniaca che loro riescono ad attraversare a cavallo di un sovradimensionale cybercigno... c'è un gufo parlante con un marcapasso d'uranio quale batteria... e altri elementi del genere. Una fiaba attuale. Affascinante. Annota tutto, e subito! Mi siedo su un tronco caduto e mi frugo addosso, ma scopro di non avere con me né la penna né il taccuino. Peccato. Un'altra canzone che andrà perduta... Intanto la foresta rinuncia al suo ostinato silenzio e prende a intonare il proprio, di canto. Ogni cosa tuttintorno frullastarnazzafrusciastride. Non so se devo rallegrarmene oppure rimpiangere lo strano iato sonoro di poco fa. Poi, qualcosa (qualcuno?) riversa un urlo nelle mie orecchie. Un urlo come di pazzo o di sordomuto che mi raggela definitivamente il sangue. Roteo sul mio asse, gli occhi strabuzzati. Finché non capisco che a urlare sono stato io. (Ma chi è, io?) E ora qualcos'altro mi tallona... "Raphèl mai amèch zabí almí" mormoro, a mo' di esorcismo, prima di tornare a procedere, perduto, tremante e scacazzante, nella foresta nordica che, impazzita, ride in tutte le lingue e in tutti i dialetti del mondo. Take two (Estate) Stiamo qui a menarcela con Windows 98 mentre, fuori, temporali tropicali si abbattono su quella che una volta era l'Europa. Non c'è stata primavera. Siamo passati direttamente dall'inverno a un caldo formidabile. Tutte le finestre rimangono aperte nella notte, ansimanti bocche di caverne. Sento bambini che piangono ovunque. Tra poco spunterà il giorno, e io sempre davanti al compi. A ricordare. A fare il computo di memorie. Sento dire spesso che un uomo, durante il suo cammino negli anni, arriva a mutare di personalità fin quasi a trasformarsi radicalmente. (Da Jekyll a Hyde senza biglietto di ritorno?) Io ritengo che in me tale processo schizofrenico non sia mai avvenuto... Anzi: la mia età psicologica è ancora di diciassette anni. Continuano a ripetermi, però: "Quanto sei cresciuto! Sei un adulto, ormai". Già. Proprio ieri ho compiuto il mio venticinquesimo compleanno. Un adulto... E mi danno del Lei! La prima volta che mi diedero del Lei andavo al primo liceo, e capii subito che la vita stava per prendere una piega se possibile peggiore di quanto non aveva avuto fino ad allora. Venticinque anni. Accanto al mio si staglia il faccione di un bamboccione ben nutrito, alto quasi due metri e in possesso di patente da pilota, con molti denti mancanti e una lingua che, se srotolata, gli penderebbe giú fino al mento. Questo faccione... che appartiene a Benno, uno degli amici piú vecchi (di anni ne ha ventinove, lui)... mi opprime da molto vicino, urlandomi a ripetizione: "Sei scemo o mangi i sassi?" Suona pressappoco come: "Tei ttemo o manti i tatti?" E a queste parole segue una risata da paranoico. Benvenuti nel cosiddetto mondo maturo! Alla fine della strada c'è il muro contro cui andremo a schiantarci con la nostra auto (dico "nostra", ma nemmeno quella ci appartiene) e su entrambi i lati si apre un paesaggio a dir poco banale, alluminio e vetrocemento. È per sfuggire a tutto questo che ci si abbandona ai piaceri sintetici. E cosí il computer mette radici nel nostro cervello, ci digitalizza i sogni, fonde realtà e follia: vicoli, scappatoie, bolulevards del bel Nuovo Mondo. Alla macchina computatrice affidiamo tutti i ricordi, tutte le esperienze... Forse perché la felicità - come diceva Stendhal - non la si può tenere in mente; oppure, come si espresse Adorno, perché la speranza è qualcosa che possono covare in primo luogo i poveracci e i diseredati e i disgraziati di tutti i tipi. Amarcord... Quante ragazze, e quanti battibecchi! Piú che le parole, oggi sono le facce e i corpi ad essere rinchiusi nel museo della mia mente. Cammei intagli statue bassorilievi mosaici e armi affilate: ogni cosa vivida e tangibile, distante solo una versta o giú di lí. Dentro lo schermo, My memories. All'improvviso un cortocircuito e... i dati sono andati. Il sistema è caduto. (Non era questo che hai sempre auspicato? La caduta del sistema?) Accidenti! Per imparare il computerare mi sono occorsi ore ed ore, giorni, mesi e mesi, anni. Ma a che serve, se la macchina non sa mantenere il mio ritmo? Guardo in basso: è stato l'Amore a cadere. Sembra uno scaracchio sul tappeto, ora, il cadavere grigio d'un uccello, uno strapazzatissimo uovo... Orsú, computanti computatori, strapazzati uccelli sortiti da uova grige: ricominciamo da capo, rimettiamo in moto i calcolatori. All together now. Un - due - e... Christine era piccola. Diciannove anni in miniatura. Ed espertissima a letto. La conobbi in un Martedí Grasso; la portai via a un garzone di birraio. Lei detestava la birra. Esperta anche fuori del letto. Una volta andò in immersione nella vasca da bagno per suggere con la sua bocca-vagina il mio undicesimo dito. Le sue trovate mi lasciavano pressappoco secco: erano cosí in contrasto con la sua figurina semplice e innocente! Io, comunque, innamoratissimo. Finché i genitori non la mandarono a studiare allestero. A Vienna: un estero teutonico, ma pur sempre estero. Già: l'amor di carnevale muore di quaresima. E quell'altro angioletto tutt'altro che asessuato... se solo mi ricordassi il suo nome... Ma certo: Barbarella! Barbarella di Traumfurt. Una ragazzina rotonda con i capelli color tanè tagliati alla maschietta. Una sera piombò nella camera dove io ero sottosottosottoinquilino, presentandosi con il busto e gli arti ingessati. Rispose alla mia domanda esterrefatta dicendomi che, brilla, era andata a schiantarsi con la Vespa contro una quercia. O si trattava piuttosto di un palo del telegrafo? Beh, comunque con tutto quel gesso pareva mummificata, e fu come fare all'amore con una Venere in miniatura in grado di muovere solo gli occhi e le dita. Vicinissima, ora risuona la risata alta di Benno. Ma che ti ridi? Chi ride è ridicolo. Piú di una risatina maliziosa, di un ghigno saputello non è permesso alla mia corte, alla corte di Sua Maestà f.'O'b. Ma la smetti con questo tuo nitrito isterico? Benno sembra essersi ripreso bene dall'influenza che lo ha tormentato fino a due giorni fa (nel cuore dell'estate!). Dal suo letto di morte non faceva che ripetere: "E' finita per me. Addio, fratello". Amici, fratelli: il vostro è solo varietà, ma quel che voglio io è rock & roll. Perciò esco. Basta, via! Vado in città. Eccomi parcheggiare l'automobilina giapponese davanti a un locale turco - l'Autanasye - il cui gestore, un mongolo, mi osserva sospettosamente mentre armeggio col volante come se fossi al timone di una bagnarola; e continua ad osservarmi anche dopo, mentre attraverso la strada con la mia tipica andatura blues. Accanto alla spelonca anatolica c'è una libreria, dove entro e compro un Kafka per dodici marchi. La quotazione del vecchio Franz pare in ribasso. È perché palesemente non ha piú nulla da dirci?... In una gelateria italiana succhio un cappuccino fatto alla boia dun cane tra ondate di conversazione in dialetto bavarese. Poi passeggio nella zona pedonale. Asfalto bollente; da poterci friggere le uova. E, durante il viaggio di ritorno, mi martella nella scatola cranica la musica dei Genesis: di quelli genuini, dei tempi di Peter Gabriel. Fine dell'escursione. Vicino a casa mia è posteggiata una vecchia Lada appena giunta dalla Polonia o da qualche altro fottuto posto dell'Europa Orientale. La targa, nera con i segni bianco sporchi, mi ammicca: PAG 7888. Pagina settemilaottocentottantotto? Un riferimento alla mia biografia? Sono arrivato già cosí lontano, nel romanzo della vita? Il romanzo della mia vita: quindici anni trascorsi stando attaccato alle mammelle di Mamama e poi repentinamente catapultato dal Caso in queste nordiche regioni, dove il latte si beve da sterili bottiglie. Nel rincasare, mi faccio largo tra una torba di ragazzini algerini, tatari e bosniaci. Tengo il portone aperto per la signorona ungherese del quinto piano e, nell'infilare le scale, lancio un "Ciao, amigo!" al nostro minuscolo coinquilino delle Filippine. E ora rieccomi, in shorts, davanti al computer, tormentato dal dubbio se accenderlo o meno. Ja? Nein? Sí? Njet?... So già che questoggi mi addormenterò non piú addossato al monitor, ma con in mano un libro; un qualche libro vecchio e lacero come un quaderno scolastico squinternato dall'uso, ma che se non altro non danneggia gli occhi. Qui Babilonia, vi parla franc'O'brain.
Take three (Trent'anni) Nicchie. Sono arrivato ai trentanni intrufolandomi in decine di nicchie, come un ladro nella notte. Sempre al sicuro, comunque. Un opportunista per forza di cose. Non ho nulla da rimproverarmi: ognuno fa quel che può, come e - soprattutto - quando può. Due anni fa mi è capitato dintrufolarmi nellappartamento di Erika. Erika che mi ama e che sopporta tutte le mie lune. A volte la sgomentano le mie trovate, le mie improvvise "grandi decisioni". Quando prendo una "grande decisione", a farne le spese è sempre lei. Questoggi ripristino il mio sistema nervoso mettendo fine alla fine del fumare. La mia astinenza da fumo è durata quindici giorni, e nei momenti piú brutti della crisi ho rischiato di fare a pezzi il mobiliario e/o bastonare a sangue la povera, incolpevole Erika. Accompagno le Marlboro con tazze di caffè nero e fumante, che mi faccio preparare da lei. Non cè niente da fare: non riesco proprio a controllarli, i miei vizi, malgrado continuo a ripetermi che in questa nostra vita una sola cosa rimane out of control : la morte. Ad Erika dico: Mon cherie, sono lieto di averti presso di me. Tra trutti i corpi di maschiacci bruti (pensa ai nasi, agli occhi, alle orecchie, alle membra ricoperte di peluria e di strane escrescenze) hai voluto proprio il mio. E brava! Vedi, in questo mio petto cosí largo non batte un cuore normale, ma una centrale atomica. Accomodati. Pascola pure all'ombra delle mie emanazioni! Succhia la mia energia! Bevi, bevi... Ho unoccupazione che definirei eccellente: sono impiegato in unorganizzazione tedesca. "Organizzazione tedesca": c'è da tremare all'accostamento di queste due parole. Subito dopo avermi assunto, mi hanno messo ai computer. È stato come dare le chiavi di una distilleria a un alcolizzato. Ovviamente, io sfrutto il piú possibile laccesso a Internet della mia ditta per poter "surfare" in lungo e in largo nelluniverso virtuale. Non compro piú i giornali, non seguo i notiziari televisivi: tramite la Rete, posso seguire quel che succede nel mondo. Ossia: succede tutto e niente, come al solito. (Muta la forma ma non la sostanza.) Ogni mattina, nel recarmi al lavoro, vedo alla fermata dellautobus caterve di ginnasiali. Lancio loro unocchiata piena di astio, che loro ricambiano senza capire. Molti di questi sbarbatelli scherzano e ridono di continuo: perché scoppiano di salute, e perché ridere è nella loro natura. Altri se ne stanno un po in disparte, seri seri, ma anche loro sembrano stare benone. Scemi! Non capiscono unacca! Eh già, eccovi qua, voi efebi con i libri sottobraccio, a invadere la strada in attesa di un mastodonte quadriruote con un numero rosso o nero tatuato sulla fronte! Rosso o nero significa logicamente Stendhal, ma voi corrotti caprioli della cultura imposta da un fantomatico Ministero non ci arrivate, credete che Stendhal sia il nome di una discoteca, voi conoscete solo i pascoli disidratati e i d'annunzio d'Egitto che i vostri bisessuati inzegnandi cercano d'inculcarvi nelle ovaie in modo che un giorno possiate finalmente sculettare come loro e, come loro, mostrare un sacco gravido di sapere risciacquato con saponette altamente radioattive. Eccovi dunque qui a due minuti-luce dall'arrivo del vostro pullman astrale, allinizio di una vita da trascorrere a scialarvi bravamente, a scialacquare i conti in banca di numerosi padri, sicuri che una raccomandazione e qualche leccatina ben assestata vi faranno spiccare il volo verso una cattedra o un ufficio del mondo cosmococcico, mentre poco piú in là, appena oltre l'angolo, nei muffosi recessi di un sottopassaggio, un vagabondo senza macchie, un filosofo fallito, un cantore della bontà stanno a bere da una bottiglia di shampoo sventolando le loro ali biancopiumate appoggiati al buon vecchio jukebox all'idrogeno. Ma non capiscono, non possono capire. A un semaforo rosso do fuoco a unennesima Zigarette. Sto di nuovo fumando come un turco, quasi a voler esternare la mia simpatia per questo popolo eurasiatico che ha moltissimi rappresentanti qui in Germania, dove svolgono (stoicamente!) i lavori piú umili. Tra le volute di fumo, faccio locchiolino a una bionda che è al volante di una Mercedes. La bionda si volge dallaltra parte, fissa stolidamente il semaforo, quindi parte in quarta. E infine eccomi giunto alla mia nicchia sociale, dove siedo a una scrivania e comincio come al solito a grattarmi le palle. Mi pagano per questo: per grattarmi le palle. Le nicchie degli anni passati non contenevano scrivanie, ma macchinari, pannelli di controllo, banchi di montaggio, ecc. La mia attività era però sempre uguale: evidentemente lo Stato tedesco, o chi per lui, non vuole che io mi affatichi. Che esistenza noiosa! Sono al salvo, certo, non corro alcun rischio, ma mi annoio da morire. Oh, e va bene! Stasera uscirò con Erika. Andremo al cinema. Ho proprio voglia di svagarmi, di vedere uno di quei film ai quali ero solito assistere fino a cinque, otto, dieci anni fa, uno di quei film che mi facevano uscire dal cinema sparato e montare sulla bike pronto a mostrare il dito medio al primo automobilista stronzo di passaggio. Otto... dieci anni fa... Tengo gli occhi fissi sul monitor, come a voler ritrovare me stesso nella geometria dellelettronica. Ma "me stesso" non abita qui: "me stesso", che è giovane e bello e nobile, si rifiuta di entrare in qualsiasi nicchia...
Take four (Quarant'anni e finis) Mi ha chiesto, con nonchalance: "Che cè di nuovo?" Era bella, tutta abbronzata... E io che sembravo uno dei sopravvissuti a un conflitto nucleare. "Tutto bene" le ho risposto, e invece avrei dovuto dirle: "Che c'è di nuovo? Di nuovo c'è l'antico, e cioè gli inferni e i purgatori di un sedotto e abbandonato". Sto seduto al cesso e scrivo con la penna. Naturale che scrivere con la penna è un atto ormai superato, primitivo; ma anche la sessualità, la nascita e la morte possono essere considerate primitive. Lo scrivere da manuensi è un'operazione fisica se non altro umana e umanizzante. Piú si fugge verso le tecnologie e la realtà virtuale, e piú s'intraprendono gesti autolesionisti: piercing, body-building, diete come all'epoca della Grande Carestia, tatuaggi... Cose che a me non aggradano punto. È l'anno di Domani, e io sono l'Uomo di Ieri. Fin da bambino, sono stato testimone del progresso dell'elettronica. 1978: videoregistratore. 1979: walkman. 1983: compact disc. Poi il "boom" del personal computer, i lettori di film su compact disc, il surround, il casco per le avventure in 3D... e cosí via. Per decenni non ho fatto altro che correre dietro a tutte le novità, col risultato che oggi nutro un grande rispetto per il passato. Riscopro valori che credevo dimenticati, già morti e sepolti. Ma è assurdo fare i nostalgici quando i nostri vestiti e il nostro modo di essere, di pensare, di parlare, conservano una patina di eclatante modernità. Impugno la penna. No, non ho detto definitivamente "addio" al computer; solo, non lo uso piú cosí spesso. La computermania è dannosina per l'intelletto, ma ancor piú per la tasca. Inoltre si sciupa piú tempo a cercare di organizzare programmi che dovrebbero organizzare i nostri pensieri, che a pensare per davvero. Io del resto non penso. Ho disimparato a farlo. Cioè: ho tanti pensieri, sí, ma tutti senza nesso, senza un filo logico. Ho raggiunto unetà critica, daltronde. "A vent'anni morirò" profetizzai a diciotto. "A trentanni mi sparo nelle vene uniniezione magica e definitiva" giurai a venticinque. "A quarant'anni mi ritiro e faccio il giro del mondo" mi ripromisi a ventotto. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti! Oggi ce li ho, quarantanni, e mi ritrovo vivo e vegeto e con la testa piena di progetti per almeno i prossimi venti. Sono tutti progetti nuovi, bien entendu. Non voglio far rivivere quelli - di natura alquanto mondana - che stilai a venti, a trenta, a trentacinque anni. Oggi, finalmente, scrivo. Scrivo sul serio. I miei progetti sono, dunque, progetti di parole. Ma quanto bisogna esercitarsi prima di diventare un genio? O prima di diventare, piú semplicemente, un uomo? La fortuna di Van Gogh è che è morto in età precoce. Nessuno ha potuto dirgli: "Ehi, smettila di fare il pazzo, ora ti abbiamo capito. Puoi ridipingere per favore una di quelle tue cose?" Per diventare un bravo scrittore "e" un cittadino esemplare, ventiquattro ore al giorno e trecentosessantacinque giorni all'anno non bastano affatto. È scarso, il nostro tempo. Faccio progetti (piú di prima) perché alla mia età mi sento già vecchio. Sono vecchio. Forse dovrei lasciarmi morire. Giocare uno scherzetto alla morte anticipando la morte. Quante volte ho seppellito i miei manoscritti insieme ai miei oggetti personali, e quante volte li ho poi disseppelliti! Erika mi ha abbandonato due anni fa. Proprio stamani ho imbucato una lettera per lei, in cui la invoco a far ritorno nel nostro "nido". Il tutto stilato a stampatello, come se si trattasse della richiesta di un ricattatore anziché di una lettera d'amore. Sono costretto a scriverle a stampatello perché non riesce a decifrare la mia grafia. E cosa le ho scritto? Le ho scritto: torna! Torna, le ho scritto (a stampatello): sono migliore di quel che pensi. E sono migliore anche di quellaltro. Mi ha fatto la brutta sorpresa di mettersi insieme a un giovanotto indiano. Lindiano ha frequentato lUniversità di Hoshiarpur, nel Punjab, ed è venuto qui da noi per svolgere la mansione di... scaricatore di mattoni. Ho rivisto Erika per caso, un mesetto fa: mi è apparsa abbastanza felice, con labbronzatura e tutto, i capelli e il vestito scompigliati; l'aspetto di chi è appena tornato da due settimane di campeggio su Linosa o su qualche altra improbabile isoletta del Mediterraneo. "TORNA!..." Ma non tornerà. Nel mio appartamento, che già fu il nostro comune "nido", regna un caos indescrivibile. Si vede benissimo che manca la mano di una donna; e, in particolar modo, la mano di Erika. Ogni cosa è rotta, cigolante, tenuta insieme con lo spago o col nastro adesivo. Nessuna apparecchiatura funziona piú come dovrebbe, con ununica eccezione: il mio cervello; sebbene, a dire il vero, anche quello... Mi è apparsa non solo in forma smagliante, ma anche piú sicura di sé. Prima la sentivo ogni tanto sospirare: "Ah, quant'è bella la vita!" Ma lo diceva con un'espressione di dolore sul viso, gli occhi umidi, come se le dispiacesse. Scommetto che lui... lindiano... è superdotato. Solo e unicamente il sesso può aver causato in Erika tale cambiamento. Ne sono certo; la conosco a fondo, la mia gallinella. Daccordo: lindiano è piú giovane di me e forse anche piú attraente. (Non lho ancora raccontato? Ho un accenno di gobba e inforco occhiali spessi quanto il fondo di una bottiglia di coke.) Ma, accidenti, anche lui avrà i suoi bravi difettucci! Un trasportatore di mattoni laureato in scienze politiche: figurarsi! Se fosse davvero in gamba come dice, avrebbe trovato uno straccio di occupazione anche nel suo maledetto paese, no? Ah, già: Erika mi ha accennato che è un rifugiato politico. Un "eroe" dunque, ai suoi occhi. Belleroe! Non venite a intavolarmi storie di eroi. Sono tutte favole, ve lo dico io. Soprattutto ai giorni nostri, gli "eroi" assomigliano a grossi giuggioloni e le "eroine" a bambole gonfiabili. Il sesso. Un pensiero come una finestra di Windows che non si lascia piú chiudere. Negli ultimi mesi Erika si era lamentata per il rarefarsi delle mie prestazioni amatorie. E allora? Cè da stupirsene? Chi non lavora non fa l'amore, ma l'amore non lo fa nemmeno chi un mestiere ce lha: perché è troppo stanco o depresso o tutt'e due. Ogni impiegato d'alto rango, poi, se non è impotente è quantomeno un clinico caso di eiaculatio precox. Toccherebbe alla partner femminile dingegnarsi, dintraprendere qualcosa per eliminare linconveniente, inventandosi dei trucchi sempre nuovi... O no? Presumibilmente, con l'indiano dIndia Erika non deve neppure affaticarsi troppo: di sicuro fa tutto lui, a letto. Oltre a ciò, questo bel tomo conosce cinque o sei lingue diverse, apparentemente senza la minima difficoltà. Tanto di cappello. Per quale ragione dunque lei sarebbe dovuta rimanere insieme a uno come me, un bambinone, un eterno teen-ager, ormai ingrigito e neppure capace di sostenere una conversazione in suaheli o... che so io... in copto-aramaico? In questa scatola di cemento, luogo della mia reclusione volontaria, non cè mai pace: il piscialetto del piano di sopra continua a correre in lungo e in largo; va sbattendo i piedi direttamente sulla mia calotta cranica, strapazzando i miei già fragili nervi. Io gliel'ho detto a sua madre di farlo smettere, e poi glielho ripetuto e glielho detto finanche una terza volta, scandendo bene le sillabe; ma quella polacca del cacchio sembra non capire una sola parola. Probabilmente sto ragazzino è in possesso di uno speciale detector con cui può spiare i miei movimenti, poiché sembra spostarsi insieme a me e non mi lascia tregua in nessun angolo di questo schifo dappartamento. Basta! Io esco. Esco anche perché ho fame. Quando ho fame esco sempre, anzi a dire il vero ormai esco solo quando ho fame. Saranno settimane che non metto piú piede nella nostra... nella mia cucina. (Chissà che sorprese, nellaprire il frigorifero!) Ma, ahimè, una delle peculiarità del mio dasein sembra essere proprio quella di sbagliare tutto: cosí, sbaglio anche nella scelta del ristorante. La locanda "Allo Stecchino d'Oro", che mi ha allettato col suo nome, si rivela essere una bettola degli orrori. Prendo posto nel cortile-terrazza che dà sulla strada, per godere dei raggi del sole, e immediatamente piccoli insetti verdi si buttano in picchiata dai rami sovrastanti per venirmi a strisciare sul collo e annidarsi tra i peli delle mie braccia. Il cameriere si esprime in un incomprensibile slang est-europeo. Le tagliatelle che gli ho ordinato ("Specialità del Giorno"), anchesse verdi come gli insettucoli, sono talmente scotte che non si lasciano avvolgere con la forchetta, ma tuttal piú scucchiaiare. Il formaggio che dovrebbe servire come dessert è di un colore molto sospetto; e c'è del formaggio anche nelle orecchie del cameriere. Ma non è tutto. Dapprincipio si sono dimenticati di portarmi le posate, e ho dovuto prendermele da solo dal tavolo di servizio. I bicchieri sono sporchi e bisogna sperare che le macchie siano solo tracce di rossetto resistente alla lavastoviglie... Dopo aver rimandato indietro il primo (cosa che mai mi era toccato di fare, nemmeno in bettole gastronomiche di pessima fama), sono stato costretto a una discussione chiarificatrice col cameriere e, poco dopo, anche con un orco di cuoco. Bene, al posto delle tagliatelle mi recano un bella pozione di pennette ai broccoli. Ma questo avviene dopo oltre unora: unattesa interminabile, durante cui l'intero personale di cucina se nè rimasto asserragliato nella cornice della finestrella a guardarmi - quattro o cinque facce laide e divertite, stranamente divertite. La loro ilarità non diminuisce nemmeno quando, finite le pennette, comincio a sorbirmi il caffè; al contrario: sempre piú allegri diventano. E infine il conto: salato almeno quanto le pennette. Torno a casa a piedi, con lo stomaco che ringhia e strattona come se fosse al guinzaglio. Centinaia di occhi curiosi mi si puntano addosso... "Fiutano" in me lo straniero? Vedono nella mia persona lodiato Ausländer, dal colorito insalubre e portatore di oscure malattie virali? Forse Erika aveva ragione: sono affetto da lieve paranoia. Forse non è assolutamente vero quel che penso, e cioè che nelle pennette ai broccoli (o nel caffè) mi ci hanno messo la purga; e forse sbaglio a credere che i passanti - Teuti e no - mi osservino con ostilità... E invece è tutto vero, dico io. Verissimo! Lo so. In me c'è qualcosa che non quadra. Sono l'eterno straniero: o troppo chiaro di pelle e di capelli, o troppo scuro, a secondo di dove mi trovo; e causo perciò imbufalimento ovunque. Non sono normale, evidentemente. Dicono che parlo troppo, e un minuto dopo mi accusano di essere taciturno. Dicono che ho risate in eccesso; e poi sostengono che sono spesso triste, seccato o entrambe le cose. Quando devo andare a sbrigare un documento, presentare la denuncia dei redditi et similia, qualcosa va sempre storto: o si è smarrito qualche foglio importante, o i miei dati personali sono spariti dalla memoria del cervello elettronico. A volte è solo la mia tessera magnetica che si è misteriosamente "scaricata". Puntualmente, mi riesce di essere antipatico alladdetto allo sportello, e perciò lui/lei mi tratta alla stregua di un individuo sgradevole. Nel frattempo prendo nota di come tutti gli altri vanno per la propria strada con estrema tranquillità, senza curarsi troppo di eventuali ostacoli e di eventuali incidenti sul percorso. Come mai proprio a me capita d'impigliarmi a piú riprese nella rete mafiosa di bidelli, istruttori di guida, bibliotecari, edicolai, portinai, pizzaioli? Paranoico? Cara Erika, questa è proprio la guerra, altroché! E se quello su cui sparano non sono io, beh, poco ci manca. Quarantanni. Quarantuno, quasi. E trascorro i miei giorni accovacciato sulla tazza del wc. Il cesso, l'ultima mia nicchia. Anzi: la penultima... |