Ivano Cordella Mi chiamo Cordella Ivano, disadattato cronico, ottimista autolesionista, scrittore affermato, solo da se stesso. Non so bene perché scrivo, e soprattutto per chi. Ma, se per alcuni, dubbi incombono come macigni, su certezze pericolanti, e la realtà assume quel retrogusto amaro, allora scrivo per loro. Scrittura alternativa, quando scrivere, è l'unica alternativa all' ordinarietà quotidiana. |
MEGLIO TARDI CHE MAI
PREMESSA Desideravo trascorrere un San Silvestro diverso dal solito, i capodanni precedenti, passati in balia d'amici, tra feste e cenoni, avevano sempre deluso le attese, forse perché scontati, tutto ansiosamente previsto alla lettera; almeno un giorno l'anno, pianificavo la mia vita, negli altri 364 non mi riusciva. Finche, reduce da un grave incidente stradale, ne festeggiai uno al nosocomio, abbastanza lucido, nonostante le generose dosi d'antidolorifici, per capire che non ci si perde poi tanto. D'altronde e' un giorno come un altro, dal quale ci si aspetta chissà quali avvenimenti. Solo nella stanza, scampato, mobilità ridotta, nauseato dall'odore d'ammoniaca e alcool denaturato, ascoltavo le risa e i brindisi del personale del turno di notte, riuniti in refettorio, rapiti dall'euforia di fine anno. Intorno a mezzanotte, la premurosa infermiera entro' nella mia stanza, una persona distinta di mezza età, dai lineamenti forti, di quelle che nella vita camminano a testa alta solo per nascondere il doppio mento. Aggiustandosi la divisa, mi porse un bicchiere di spumante, e con atteggiamento ieratico, sentenziò: -Auguri, e ringrazi il suo santo, se può ancora festeggiare. Io risposi, alzando lo sterile bicchiere di plastica: - Grazie San Silvestro. Intuii, in quel preciso momento, che erano i restanti giorni dell'anno, di cui mi sarei dovuto preoccupare; decisi di lasciarmi alle spalle gli anni passati, spensierati, forse felici, ma inconcludenti, vissuti intensamente, ma sempre alla ricerca di qualcosa che non ho mai compreso bene cosa fosse. Azzerare il contachilometri, e senza rodaggio, ripartire da capo, sperare che le scelte fatte e le convinzioni tenacemente sostenute contro tutto e tutti, siano servite a qualcosa. Il passaggio o il trapasso, secondo i punti di vista, al nuovo millennio, pero', lo progettavo stravagante, inconsueto. L'ultimo bagordo, prima del rinsavimento. E' quasi mezzanotte quando entro al Cafè Grog, il locale di Gianni, dopo saluti di rito e convenevoli vari, decido di appollaiarmi su uno degli slanciati sgabelli, di rimpetto al bancone. Comincio ad osservarlo mentre spina una birra, a differenza di quando ci si frequenta nel tempo libero, separati dal bancone, s'instaura un'insolita complicità fra noi. Quasi non ci rivolgiamo la parola, basta uno sguardo per intendersi, forse sono i momenti in cui ci comprendiamo di più. Con un movimento lento ma deciso fa scivolare la birra verso di me, io saldamente la afferro, il tutto eseguito come fosse un rituale propiziatorio per il buon esito della serata. Adoro il Cafè Grog, frizzante jazz in sottofondo, rassicurante birra doppio malto sul freddo sfondo di granito del bancone, sigaretta incastonata fra le dita. L'atmosfera stimola la mia fervida fantasia, servendomi un cocktail di sensazioni inebrianti e stordenti, alle quali mi abbandono dolcemente. Cullato dall'altalenante melodia del sax, riesco ad immaginarmi chiunque e dovunque, le preoccupazion, mi concedono una tregua. Come un'araba fenice che risorge dalla cenere delle proprie sigarette, fumate nell'attesa di tempi migliori, mi assale un'insana euforia, che risveglia fantasie represse, primordiali istinti, svenduti all'ordinarietà quotidiana. Allontano i pensieri che mi assillano: soldi mancanti, lavoro incerto, università inconcludente, donne eludenti ecc Già, come se fossero le donne ad evitarmi o l'università inconcludente, e non il mio tracimante ego e la testarda pigrizia, la causa di tutto. Dalla grata della piccola finestra, che rasenta il selciato esterno, ricostruisco l'aspetto dei passanti, dalle calzature di svariata fattura indossate. Camminano amabilmente sul listone, incerti da quale locale farsi inghiottire, preludio di una serata movimentata. Fa il suo trionfale ingresso una ragazza agghindata da gran soirée, e all'improvviso rammento che l'inevitabile San Silvestro e' alle porte, ho sempre detestato le festività che comportano una sorta di bilancio. La bionda avanza sicura e provocante, consapevole della propria seducente bellezza, turbando gli animi dei placidi maschi presenti, che, palpebre socchiuse, labbra semiaperte e sigaretta penzoloni, per non destare sospetti, torcono il collo verso di lei, e si grattano la nuca dal lato opposto. Procede fiera, non sorride, zigzagando tra virili occhiate, e minuziosi sguardi d'invidiose avventrici, alla faccia della solidarietà femminile. Il viso intonacato da un trucco pesante e volgare, contrasta con gli occhi di un innocente verde mare. Il classico tipo "guardare e non toccare" che frequenta il locale, incede come in passerella, galeotta fu la cellulosa, di rotocalchi d'alta moda e jet-set, divorata in età adolescenziale. Subito mi rivolgo a Gianni, forse per apparire come un vecchio habitué del Grog, o nascondere il fatto che sono da solo e non ho voglia d'incontrare nessuno. - C'è né di gente stasera, hai visto la bionda? - Si, e' da parecchio che la osservo. - Cosa le farei .. - Fa proprio sesso sicuramente non con noi. La bionda poi, si dirige verso uno dei tavolini maiolicati, dove, secondo copione visto e rivisto, la aspetta un tizio elegante, bella presenza, sorriso smagliante. Già, sono questi personaggi simili a manichini da grandi magazzini, che mi hanno sempre fregato. Dinanzi al dubbio amletico (revisionato per i tempi che corrono) "essere o non essere, basta apparire", io ostrica con cuore di madre perla o solamente cozza con un calcolo al rene, ho sempre preferito "essere". Nell'egocentrica presunzione "d'essere" fra i pochi cosi' interessanti ed affascinanti, da permettersi di trascurare il proprio aspetto, in un'epoca dove l'immagine, è biglietto da visita di se stessi. Un alone denso di sigaretta, che mi annebbia i pensieri, si leva dal bancone, quasi riprendendo la forma di quest'ultimo, il caldo abbraccio dei muri in mattone a vista, mi procura un infantile senso di protezione. E' questo che mi attira in questo luogo, come fosse un rifugio, una zona franca, un improbabile utero, dove niente e nessuno, può raggiungermi. La bionda, si siede in compagnia del fusto, e i commenti fra me e Gianni mutano rovinosamente: - Non e' poi cosi' bella. - Sbucciata di trucco, tacchi e tailleur, non resta gran che. - Guarda come si pavoneggia. - Lui sicuramente avrà i soldi. Una volta convinti di non aver perso niente, si ritorna nei nostri ruoli d'avventore malinconico e barista discreto, acquattati in attesa di un'altra vittima. La tromba di Dizzy Gillespie, orchestra le spire del denso fumo, sul mio volto, si stampa un sorriso giocondo. Per un'arcana disfunzione metabolica, l'alcool ha un effetto repentino sul fisico, s'indolenziscono spalle e braccia, un gradevole intorpidimento, m'inchioda sullo sgabello. Alla seconda pinta, il treppiede è sempre più alto, le travi di legno del soffitto, sempre più basse, e chino il capo che sento sempre più pesante. Il compare barista, divertito dal siparietto teatrale, mi offre il consueto gin-tonic, denominato in gergo della staffa. Con i sensi offuscati, rapito dall'estasi etilica, rimugino: - I barman strani personaggi. - Il loro lavoro può sembrare banale, servile. - Con i suoi cocktail però . - Quanti artisti, clienti abituali, hanno ritrovato l'obliato estro. - Quanti hanno sognato, riso, dimenticato, una volta raggiunto il fondo del bicchiere. - Grazie alle disinibizioni alcoliche del moderno cupido, quante coppie si sono incontrate, e quanti esitanti amori sono stati consumati. - Probabilmente ad ammaccare la mia utilitaria e' stato qualche ubriaco uscito dal Grog. Un barista, sembra incredibile, ha la capacità medianica di ritoccare il destino di molte persone. Dopo qualche minuto riacquisto un po' di lucidità, mi ricompongo sulla mia strategica posizione, anche se non credo sia possibile sedersi come cristiani su questi scomodi trampoli. Dal bancone, dei faretti di designer moderno, illuminano l'ambiente soffuso, come luci di ribalta in un improvvisato teatrino dove ognuno e' attore nel proprio ruolo e spettatore di quello altrui. L'aria e' viziata di nicotina, con le dita tamburello sulla guancia, seguendo la cadenza lenta ma regolare del contrabbasso di Richard Davis. Ingoio l'ultimo sorso di birra, scrutando il fondo del boccale alzato, che deforma a piacimento tutto ciò che mi circonda. Mi accorgo che in fianco a me, e' seduta una ragazza, sfumata dal vetro spesso del boccale, sta parlando con Gianni, sicuramente conscia della fragilità emotivo-ormonale del barista, spera di farsi offrire qualcosa da bere. Sfodera una sapiente ed invidiabile cultura bibliografica, io data la mia ignoranza in materia, fingo di leggere la lista delle consumazioni, insostituibile àncora di salvezza per i momenti in cui non si ha niente da dire. Con le mani, dalle affilate e sensuali dita, rallegrate da unghie lucenti smaltate di fresco, regge un doppio whisky. Un succinto abito di flanella, rosso, lascia intravedere le sparute spalle, e si arresta audace sopra le ginocchia, i miei occhi sempre in movimento, fanno un breve scalo sulle gambe accavallate. Gianni, che non perde occasione, per mettere alla prova la mia innata incomunicabilità con l'universo femminile, dice: - Ti presento un mio caro amico. Lei: - Piacere Paola. Lei - Si stava disquisendo di letteratura. Io, che penso, ma come diavolo parla questa: - Interessante! Con la bocca che articola la parola e il viso che esprime esattamente l'opposto. Lei: - Ho scoperto che Gianni è un intenditore di romanzi di fantascienza. - Hai letto il libro "Il Signore degli Anelli"? Io, che credo di togliermi dall'impaccio, con una delle mie battute idiote, rispondo. - E' la biografia di Juri Kety? Una progressione alla tastiera, riempie una pausa. Gianni si piega in due sul bancone, emettendo un ghigno sinistro e diabolico, non tanto per la battuta, ma per essere riuscito a mettermi in imbarazzo, conoscendo le mie reazioni in questi casi. Lei accenna un sorriso emiparetico, non dice una parola, il sopracciglio corrugato non presagisce nulla di buono, le intellettualoidi . non hanno proprio il senso dell'umorismo. Ormai resomi conto che da questo lato dello sgabello ho fatto terra bruciata, mi giro dall'altro e attendo paziente eventuali sviluppi. Mi accendo l'ennesima sigaretta, mi appoggio al bancone, con sguardo strabico ed espressione stravolta, seguo il fumo serpeggiare verso l'alto. L'indisponente tizia, si volta seguita a ruota dai suoi lunghi capelli corvini, mi sorride affettuosa, probabilmente già ubriaca. - Sei un po' strano, ma simpatico. - Veramente non lo hai letto quel libro? Io - No! Purtroppo. Lei - Niente di grave, ad essere sincera non mi e' piaciuto molto. I contorni aggraziati del viso, sono sempre più sfuocati, mi sembra d'avere ancora la vista schermata dal fondo del boccale; quella sua voce squillante, quegli argomenti monotematici e fantascientifici, mi rintronano, vacillo indietro alla ricerca del sostegno di uno schienale inesistente. Dopo un intenso e unilaterale scambio d'opinioni, segue un terrificante silenzio fra noi. Mi balenano in testa pensieri stupidi: - Bambola, chiedimi tutto, ma non pretendere certezze. - Raccontami di te, dei tuoi ricordi, dei tuoi desideri, non delle tue letture. Con le dita arrovellate in complicati giochi di mano, giro il polso per vedere l'ora, dimenticando che non porto l'orologio. Un cliente indeciso, mi ha disarmato della preziosa lista delle consumazioni, che ormai conoscevo a memoria, inerme comincio a scrutare attorno alla ricerca di qualcosa o qualcuno che mi dia la giusta ispirazione. Su un tavolino intravedo dei depliants pubblicitari per un capodanno a Budapest, probabilmente a luci rosse, nel fuligginoso posacenere in cotto, un agonizzante mozzicone stenta a soffocare. Fallita la missione, dopo aver ruotato per 360 gradi invano, mi rigiro verso di lei, e mi accorgo che fissa un punto imprecisato del bancone, mentre l'espressione del volto si e' incupita, avevo ragione, è completamente sbronza. Il Grog, si è gremito di gente. L'ameno ambiente, di pochi istanti prima, e' invaso da orde di fameliche e assetate cavallette del sabato sera, che all'improvviso giungono in fitti sciami, devastano e ingurgitano di tutto, per poi ripartire altrettanto velocemente, per destinazioni a me ignote. Il vociare e' assordante, e storpia il brano di Oliver Nelson che cerca inutilmente di prevalere. Fiumi di birra si mescolano a fiumi di parole, e insieme procedono vorticosi verso un remoto e sconosciuto estuario. Infatti, domande ricorrenti sono: - Che si fa questa sera? - Dove andiamo? Edipici enigmi che rimangono spesso senza soluzione. Forse e' questo l'incantesimo della notte, l'eccitante illusione di avere una meta da raggiungere, per anni l'ho inseguita, adesso credo che me ne serva una più concreta. Agli antipodi del bancone semicircolare, un indesiderato conoscente, mi fa un cenno di saluto, e si avvicina pericolosamente. Il tipo brillante da sabato sera, principe della retorica, maestro del banale, esperto della gazzetta dello sport, che ogni vacillante concetto che esprime, battuta che recita, aspetta ansioso il consenso nei tuoi occhi. Con espressione languida, l'ascolto rassegnato, cercando di schivare le sue accalorate gesticolazioni, condimento necessario, per argomenti insipidi. Mentre mi tartassa di domande e di risposte, cerco di risalire con la memoria, ingolfata dalla birra, a quando posso averlo conosciuto, chi mai me l'abbia presentato. Approfittando di un suo momento di distrazione, cafone e maleducato, decido di dileguarmi. Scendo dal trampolo diventato vertiginosamente alto, mi apro un varco tra la calca soffocante, scarto la prosperosa e sculettante cameriera addetta ai tavoli, riesco a fare gli scalini dell'ingresso restando miracolosamente in piedi e imboccare al primo colpo l'uscita angusta del seminterrato. Mi allontano pigro e barcollante, con il riflesso violaceo dell'insegna al neon, che indugia ad abbandonarmi. L'aria e' fredda e pungente, il cielo limpido, osservo la luna piena, terrorizzato mi appare tremolante con i margini indistinti, sgrano gli occhi e mi rendo conto che guardavo il riflesso sul fiume. Sono fradicio, alzo il bavero della giacca e comincio a passeggiare senza impegno, a braccetto con un insolito ottimismo. Mi accorgo di non avere salutato Gianni, pazienza non se la prenderà. Camminando per l'intricato dedalo di vicoli del centro, ammiro le facciate dei vecchi edifici, incespicando sulla ciottolata d'epoca romana. Ve ne sono alcuni recentemente ristrutturati, riportati agli antichi fasti, altri abbandonati a se stessi, sembrano sciolti dalla poggia. Aloni grigiastri e ammuffiti, penzolano sotto i terrazzi, le finestre e i cornicioni; lacune d'intonaco lasciano scoperte le pietre dei muri portanti, sapientemente incastrate, incuranti del tempo che passa. Il trasportante sassofono propinato nel locale, risuona ancora nelle orecchie, colonna sonora appropriata per la pittoresca scenografia che mi si offre. Nonostante la vista sdoppiata dall'alcool, mi appare tutto così limpido, chiaro, ritrovo tutti i perché, negli scorci di cielo, delimitati dalle grondaie ossidate. In giro non c'è più nessuno, incontro solo un gatto randagio sul muretto prospiciente al fiume, immobile e impassibile come una sfinge, ancestrale depositario dei segreti della notte. Mi scruta curioso e sospettoso, poi con uno sguardo complice e consenziente, mi annovera fra le specie notturne, e si stiracchia sereno. Il campanile di S.Anastasia rintocca le tre, risuonando tra la vuotaggine e il mutismo delle strade, seguito dopo una manciata di secondi, dalla campana di S.Eufemia, quasi a voler imporre il proprio fuso orario. Solo a quest'ora sento mia la città, sgombra dall'assordante traffico e dal brulicare delle persone, quando un pendolare silenzio ne riprende possesso, e si percepisce il brusio dei lampioni prossimi a fulminare. Quando ormai la serata pare declinare inesorabilmente verso casa, due fari accecanti e minacciosi, procedono verso la mia losca figura. Il mio primo pensiero va alla solita insospettita volante delle rispettabili forze pubbliche, che nei miei riguardi, hanno sempre avuto attenzioni particolari. In questa tediosa e monotona notte di provincia, un innocuo e sonnambulo sognatore, risulta sempre sospetto. Quando ormai e' cosi' vicina che sembra voglia investirmi, arresta la folle corsa all'improvviso, la stridente frenata rompe il silenzio, l'impassibile gatto, con un balzo felino scompare dietro il muretto, io che di felino ho gran poco, resto paralizzato e atterrito. L'auto e' ferma a pochi centimetri dalle mie ginocchia, dal cofano, il motore a basso regime di giri, emette un ronzio sordo ed inquietante. Non sono poliziotti, ma con i fari puntati contro, non distinguo le sagome all'interno. Un'inconfondibile risata, risolve ogni dubbio. Sono la vecchia congrega, fedeli compagni di scorribande notturne, di qualche anno fa. Eravamo un gruppo di cinque ventenni, di giorno rispettabili lavoratori o ligi e grigi studenti universitari, ma la notte, rivendicavano il proprio istinto, il diritto insindacabile alla nostra identità. Intendiamoci, non eravamo teppistelli di provincia. Ciascuno conosceva assai poco della vita privata degli altri, l'automobile era il nostro rifugio, ne facevamo di chilometri. Cinque era il numero perfetto, omologato per l'auto. Non eravamo persone che si frequentavano abitualmente, nemmeno grandi amici, uniti dalla comune ricerca di qualcosa che non sapevamo bene cosa fosse, ma consapevoli che rinunciare a cercarla, sarebbe equivalso a perdere quella spensierata giovinezza. Tutti di diversa estrazione economica e culturale, etichette assegnate da una spietata gerarchia sociale, che riuscivamo a cancellare, durante i pellegrinaggi notturni. Si girovagava senza meta, alla ricerca di situazioni divertenti, grottesche, scherzose, di risate grasse e genuine. Nessuno dei quattro scende dall'auto, l'invitante sportello si apre lentamente, ed io senza esitazioni salgo sulla vettura, che riparte subito dopo, fiero dell'appartenenza al gruppo elitario. Paolo alla guida, dice, con un tono come se ci fossimo lasciati la sera prima: -Mancavi solo tu. Mi giro verso gli altri tre, incassati nei sedili posteriori (Carlo, Roberto, Andrea): -Beh, come va? Scoppia una risata generale, diversa dal solito, con un inafferrabile sottofondo malinconico. Dopo esserci aggiornati, rapidamente e vicendevolmente, su che cosa ciascuno ha combinato negli ultimi tempi, si comincia a discutere su dove si può andare, pur sapendo che la risposta e sempre la stessa. - Su intanto parti, poi vediamo. Passammo il resto della nottata, a bighellonare per la città e la provincia, a ricordare i bei tempi andati. Abbandoniamo il centro, e ci dirigiamo verso la periferia. Sorpassati i bastioni, i palazzi si fanno sempre più recenti e moderni, dallo stile più schematico, impoverito, il grigiore del cemento armato prende il sopravvento. Ripercorriamo la cronologica involuzione architettonica e urbanistica, quasi trattenendo il fiato. Superati anche gli ultimi alveari popolari, siamo in aperta campagna. Qualche pioppeto, con disposizione ordinata dei suoi tronchi, è intercalato fra le coltivazioni intensive, prolungato da filari d'imponenti cipressi, lungo l'intreccio dei canali d'irrigazione. La campagna scorre veloce dal finestrino, impreziosita dall'abbondante brina, formatasi durante la gelida notte invernale. Il tutto esaltato dal chiaro di luna, che rende il paesaggio surreale, mentre i lisi pneumatici corrono in un instabile equilibrio, sull'asfalto ghiacciato. Con l'indice ingiallito dal tabacco, premo freneticamente il tuning della radio, cercando una stazione all'altezza della situazione, mentre la cenere si sparge sul cruscotto. Tra improponibili richieste musicali dei passeggeri, stremato, mi arrendo ad un conciliatore programma musicale 60/70/80. Roberto, l'umorista, dalle presunte genealogie aristocratiche, mai documentate: - Senti un po', morbo di parkinson, deciditi con quel tasto. - Non ascolterai ancora quella lagna di jazz. - Aggiornati. Carlo, l'eterno universitario: - Abbiamo deciso di fare una rimpatriata, sono quattro anni che non ci vediamo. - Ti abbiamo cercato a casa, poi siamo passati al Grog, e ci hanno detto che eri appena uscito. - Avevamo ormai rinunciato, quando Andrea ti ha intravisto. Andrea, il polemico e pignolo impiegato di banca, promettente direttore, per ora solo disilluso cassiere: - Già, un pazzo che passeggia a quest'ora, da solo, sotto i portici, non potevi esseri che tu. Carlo: - Come procedono gli studi, hai finito l'università? Io: - Per adesso ho finito le sigarette, tu ne hai? - Cazzo, ma non hai altri argomenti, dopo tutto questo tempo? Carlo, ridacchiando, con un sorriso canino: - Solidarietà tra fuori corso cronici. - No? - Gli anni passano, però, noto con piacere, che le abitudini restano. - Non penserai di fumare a sbafo tutta la sera. Si ride per niente, forse per recuperare il tempo perduto, ci si stuzzica a vicenda amichevolmente. La disposizione dei sedili nell'auto, permette di parlare liberamente, senza doversi guardare in viso, nell'attesa della reazione mimica, fatta eccezione per alcune sbirciate facoltative, dallo specchietto retrovisore. Non incrociamo altre macchine, in questa bistrattata strada provinciale, i semafori finalmente lampeggianti, ci cedono il passo cortesemente, previo le doverose precedenze. Ancora stordito, ondeggiando il capo a ritmo di musica, seguo con lo sguardo l'eterna striscia bianca di mezzeria, che corre sotto il naso, e all'improvviso realizzo che si trova alla mia destra. Con tono allarmato e canzonatorio, mi rivolgo al guidatore: - Non siamo in Inghilterra, dove si circola sulla sinistra. Paolo, dopo una brusca virata, e altrettanto bruschi improperi, sul mondo infame e donne dai facili costumi, si riporta in carreggiata. Paolo, l'inguaribile romantico, figlio del proprietario dell'antica macelleria del centro, dai modi bonaccioni e gran gesticolatore, che quando era al volante parlava di rado, avendo le mani impegnate: - Scusate, un colpo di sonno. Roberto: - Non hai più l'età per le notti brave. Andrea: - Ma che sonno, pensa al suo nuovo grande amore. - Non cambierai mai - T'infatui una volta la settimana. - Donnaiolo impenitente, ecco cosa sei. Paolo, conferma, emettendo un profondo sospiro, con delle riserve su "infatui". Roberto: - No, non dire niente, conosco il tuo repertorio, trito e ritrito. - Con lei mi sento me stesso. - Non mi era mai successo. - Chissà dov'è adesso . esso .. esso ...esso - Esso!!! - Oh! Un distributore, accosta che facciamo benzina. Tra recalcitranti remore meteorologiche, decidiamo di scendere, e fumare le ultime sigarette superstiti. Rimaniamo paralizzati dal freddo, e incantati alla visione di una maestosa luna calante, che scompare oltre le colline, in un'interminabile staffetta, col primo sole di levante. Le parole scarseggiano, gli sguardi s'incrociano, i mezzi sorrisi s'ammiccano, il fumo s'aspira, le spalle si scrollano, ancora increduli d'esserci ritrovati. L'aria è fine, elettrica, ne respiro sapienti boccate, fino a farmi girare la testa. Dopo alcuni istanti meditativi, dalla radio della macchina, un subdolo e demenziale spot pubblicitario, approfittando della portiera dimenticata aperta, ci richiama al mondo reale. Io: - I Dj - Solo perchè hanno un bel timbro di voce, si sentono autorizzati a dire tutte queste stronzate. Paolo: - 1995 lire per un litro di verde!!! - Roba da matti. - Dove andremo a finire. Roberto: - Se continua ad aumentare, da nessuna parte, andremo a piedi. Paolo, dandosi un tono autoritario, aspirando avidamente l'ultimo tiro: - Qua, bisogna fare una colletta. Andrea: - Una che? . - Ma fai il signore una volta tanto, paga tu. Roberto: - Oh ragazzi, la verde arriverà al 2000 prima di noi. Eccoci qua, dopo tutto questo tempo, eterni adolescenti, disconosciuti da un'esosa esistenza diurna, adottati dalla notte, che chiede solo riverente compagnia fino al mattino. La notte, una madre premurosa, un'amante passionale, un'amica sincera, non ho dubbi la notte è femmina, mi sento a mio agio. Ormai credevo d'essere diventato immune al suo ammaliante richiamo, le azioni rallentate ma decise, le immagini più nitide, i discorsi per futili che siano, acquistano importanza nei suoi silenzi. Riesce facile sognare, deformare la realtà, ottimo analgesico per i reumatismi dell'umore, se si è consapevoli di farlo, e si segue scrupolosamente posologia e avvertenze d'uso. Nel campo retrostante al distributore, in una pozza per l'irrigazione, si specchia la luna piena, una pupilla albina in un grande occhio, che ci osserva. Ci avviciniamo all'auto dondolando sulle ginocchia, canticchiando con tono irridente e le braccia tese verso Paolo, il novello innamorato: - Guarda che luna .Guarda che mare ..solo con te vorrei restare . Paolo: - Salite in macchina, e cambiamo discorso, o vi lascio a piedi. Ad una cinica risata generale, segue un riflessivo e solidale silenzio, riprendiamo a vagabondare carichi d'entusiasmo e di benzina. Riesco ad accalappiare alla radio, un dissacrante brano di jazz commerciale. In un tripudio generale, felice di poterlo condividere con i saltuari compagni di viaggio, saltello sulle natiche, a ritmo di sax. Io: - Ragazzi . - Così noi passavamo intere nottate . - Mi sembra una vita . Andrea: - Cerca di dare un senso compiuto alle tue frasi. Io: - A proposito, Andrea, girava voce ti fossi sposato. Andrea: - He! Girava male, le solite malelingue. Io: - Vi ricordate l'estate, del 95? - Forse era del 96? - Quanto ci siamo divertiti, non si dormiva mai. - Quella volta che .. Inconsapevolmente, con questa domanda, innesco una catena di reminiscenze, immagini, musiche, odori, rimpianti, tanto remoti, ma inaspettatamente vivi nella memoria. Quando il presente è irriconoscibile, il futuro imperscrutabile, si rispolvera inevitabilmente il passato. Segnale inequivocabile, che dolenti e non volenti, gli anni sono volati, forse siamo cresciuti, maturati, e comunque prima o poi succederà. Dopo qualche chilometro, una contagiosa e disincantante stanchezza ci assale, decidiamo di tornare, l'alba rumoreggia all'orizzonte. L'anelata nottata goliardica, ha deluso le aspettative, pazienza, ci salutiamo con la solenne promessa di rivederci prima di capodanno. Coscienti, pero', che non sarà mai come prima, serenamente aggrappati a felici ricordi. Già i ricordi .. Quanto tempo abbiamo sprecato, sfuggenti temporeggiatori, incapaci di integrarsi in una realtà concreta e matura, sempre in bilico tra una disilludente quotidianità ed un'accattivante immaginazione. E' la piacevole condanna della nostra generazione, che deve scontare gli errori, accumulati ed insabbiati, dalle precedenti. Forse le certezze e le regole delle precedenti, non erano poi così valide, e siamo disperatamente alla ricerca di nuove, che sembrano sfuggire. Riflettendoci meglio, è la retorica analisi di tutte le giovani generazioni, alcune hanno anche protestato, contestato, manifestato, ma in fondo Quanta energia ed entusiasmo, verso un domani incerto, mi da rivivere quel periodo spensierato, apparentemente tempo perso, e quanta gioia al pensiero di averlo vissuto. Si forse una sfumatura di pazzia contornava i miei confusi pensieri, concetto serenamente confermatomi da svariate persone. L'ascolto attento ed obiettivo, di pareri dogmatici e convenzionali sulla normalità, di tali affettuosi inquisitori, esitava sempre in grande ilarità da parte mia. Dopo una mezzora sono sotto il portone di casa, la macchina si allontana, con Paolo alla guida. Paolo, allunga un braccio dal finestrino, in segno di saluto. Carlo e Roberto, gesticolano dal lunotto. Carlo con pollice e mignolo estesi, e il pugno accostato all'orecchio. Roberto, con le stesse dita estese, ma il pollice vicino alla bocca. Era un nostro vecchio modo di congedarci, ormai l'avevo dimenticato, " telefona che andiamo a bere qualcosa". Andrea, in linea col suo stile, non si scuce. Osservo malinconico il posteriore dell'auto, affumicato dai gas di scarico, come sempre manca uno stop, non ha mai avuto le luci in regola quel catorcio, si trascina appresso, in una romantica spirale, le foglie secche del viale. Le strade stentano a ripopolarsi di passanti, decimati dal riposo domenicale, qualche insonne pensionato vaga distratto alla ricerca di un lavoro in corso, per dirigere le maestranze, dimenticando che è giorno festivo. Gli addobbi, dei negozi sul corso, luccicano ai primi sprazzi rosa dell'alba, infondendomi un irritante calore natalizio, un babbo natale sagomato in cartone, mi augura buone feste, con gli sconti dei cellulari, sovraimpressi sulla slitta. Mi estraneo ancora, rimugino: - Perché, rosso? - Per ideologia politica, per doveri contrattuali con la coca-cola? Dopo un'affannosa ricerca nelle tasche, trovo le chiavi di casa, arrancando sulle scale, ripenso alla piacevole serata. Snobbo l'ascensore, salto i gradini due alla volta, quasi a comprovare la ritrovata giovinezza, giunto al pianerottolo, raglio come un asino, toppo la toppa della serratura, un paio di volte, dopo aver inciampato su qualunque cosa, ancora mezzo vestito, mi abbandono al letto. |