Giulia Fazzi Ciao, sono Giulia, ho ventisette anni e scrivo da quando ne avevo più o meno dieci. Sono laureata ma faccio un lavoro che non mi piace. Inutile dire che vorrei che la scrittura fosse il mio unico mestiere. Questo racconto è il frutto di certe idee che mi girano per la testa: cosa succede in certe case, dietro certe mura, fra la gente che riteniamo normale, in paesi e città come ce ne sono molti dalle mie parti, nel profondo nord. |
TUTTO QUELLO CHE NON
HAI E' successo di nuovo. Ha urtato contro il tavolino in salotto e ha fatto cadere quello stupido soprammobile di porcellana che le ha regalato sua suocera. E' caduto a terra è si è rotto in tre pezzi come l'altra volta, negli stessi punti. Ora dovrà rincollarlo con l'attack facendo combaciare esattamente le parti e sperare che la vecchia non se ne accorga quando verrà in visita. E' convinta di averle regalato un oggetto prezioso e ci tiene a vedere in mostra le cose che regala, le dà soddisfazione. La fa sentire ancora a casa sua. Tutti i suoi mobili la accolgono quando varca la porta d'ingresso, il suo sguardo implacabile compie una panoramica su tutto l'ambiente alla ricerca della minima imperfezione. Perché, è certo, non le sfugge niente. Oh, Lidia cara, da quanto tempo non passi la cera d'api sopra questo tavolo? Non lo fa apposta. Non fa cadere le cose "di mamma", come dice Claudio, con voluta intenzione. Capita. Ci prende contro quando fa le pulizie e loro cadono e si rompono. Sono fragili. Lei le guarda, lì a terra, e vorrebbe prendere scopa e paletta e gettarle nell'immondizia. Ma non si può, mamma si offenderebbe e Claudio le metterebbe il muso. Sono una famiglia attenta al valore delle piccole cose. Lidia guarda l'orologio appeso alla parete di cucina. Quasi le sette. Suo marito non sarebbe salito che fra un'ora. Il sabato non chiudono mai la concessionaria prima delle sette e mezza, poi, lui e il suo socio, si trattengono sempre per le ultime pratiche da sbrigare. Non le resta che impiegare il tempo di attesa preparandosi per la serata. Hanno in programma una cena a casa di Marco e Anna, insieme a un'altra coppia di amici. Un tranquillo sabato sera in compagnia, una buona cena, Anna cucina benissimo, quattro chiacchiere disimpegnate su lavoro, casa, calcio, modelli di telefonini, rapine alle banche della zona, auto. Poi di nuovo a casa. Domenica a pranzo dalla suocera e dalla cognata. E il fine settimana scivolerà via veloce. Lidia si fa una doccia e si lava i capelli. Con l'accappatoio indosso e i capelli avvolti in un asciugamano, va in camera da letto, apre l'armadio e cerca qualcosa da mettersi. Qualcosa di carino, adatto per stare in casa, non troppo elegante. I pantaloni neri e la camicia color champagne, oppure la gonna lunga, grigio chiaro, con una di quelle maglie un po' attillate che riempiono il secondo cassetto. Claudio potrebbe indossare i pantaloni marrone scuro e una delle camice appena stirate e appese nel suo lato dell'armadio. Si asciuga i capelli cercando di farsi una piega decente, non ha avuto il tempo di passare dalla parrucchiera. Si trucca senza esagerare con rossetto e matita per gli occhi. Si veste, chiude armadio e cassetti, si versa qualche goccia di profumo sul collo e sui polsi, poi torna in cucina e accende la televisione, passando distrattamente da un canale all'altro. Ritorno a casa. Sono quasi le due di notte. Claudio parcheggia l'auto davanti al garage, sul retro. Scendono, Lidia rovista nella borsa in cerca delle chiavi, le infila nella toppa e Claudio le si appoggia contro, le accarezza il collo e le sussurra all'orecchio, l'alito che sa di whisky: "stanotte lo facciamo, vero?", e, poco dopo, non le dà neanche il tempo di svestirsi completamente, sul letto la prende e le fa un po' male, succede sempre così quando lui beve un bicchiere di troppo. L'appartamento in cui abitano si trova sopra la concessionaria di cui sono proprietari Claudio e il suo socio. Tutto l'edificio si affaccia sulla statale che porta alla città grande, circa venti chilometri più a nord. Un continuo e incessante flusso d'auto. Cemento e asfalto che in estate si arroventano. Un quadrato di verde sul retro, inutile. Per Claudio è una posizione vantaggiosa, i suoi affari ne traggono enorme beneficio. La concessionaria era appartenuta al padre e, dopo la sua morte otto anni prima, lui l'aveva ereditata e mandata avanti con molti sacrifici e "sudore della fronte", come diceva sua madre. Era stata lei a spronarlo, a spingerlo negli affari ed evitare, in quel modo, che tutto ciò per cui suo padre aveva faticato andasse disperso in mani estranee. Perché come prima cosa viene il lavoro. Darsi da fare, rimboccarsi le maniche, perché nessuno ti regala niente e non puoi stare a pretendere un aiuto dall'alto. E poi c'era quell'appartamento in cui avevano abitato e che, dopo il matrimonio, era passato alla giovane coppia. Senza cambiarlo di un solo mobile. Così non dovremo spendere i soldi per l'arredamento, aveva detto Claudio. Era tutto nuovo, tutto tenuto alla perfezione. Tavoli in noce, armadi intarsiati, credenze, specchiere, tavolini con il ripiano di marmo, sedie imbottite, lampadari con le gocce. I doni per il figlio. E per la nuora, certo. Una mattina la vede. Esce dalla profumeria ed eccola là, sua suocera, sull'altro lato della strada, la borsetta a tracolla e una sporta della spesa che tenta faticosamente di infilare nel cestino stretto della bicicletta. Ma perché se ne va in giro con quella vecchia bicicletta arrugginita quando potrebbe comprarsene una nuova? Le fa rabbia. Vorrebbe dirglielo. Lidia prova l'impulso di gridarglielo in quel momento, in mezzo alla strada, tanto la infastidisce la meschina avarizia della donna. La guarda. Io quella vecchia non la conosco, sembra pensare. Il cappotto marrone scuro con una spilla a forma di fiore appuntata sul petto, una sciarpa grigia avvolta intorno al collo, il cappello che quasi le copre gli occhi. Sembra una donna anziana qualsiasi. Guardandola, chiunque la scambierebbe per una vedova che fatica a tirare avanti con una modesta pensione. Invece ha una barca di soldi, un conto in banca di cui Lidia non conosce nemmeno l'esatto ammontare. La vecchia toglie la catena agganciata alla ruota, si siede sul sellino sistemandosi il cappotto e pedala, lentamente, lungo la strada che porta verso la piazza principale. Nemmeno un richiamo, un cenno, da parte di Lidia. Arrivata a casa, Lidia appoggia le borse della spesa sul tavolo di cucina. Si siede e si sfila le scarpe, si guarda intorno. La presenza della vecchia in ogni angolo. Non hanno mai abitato insieme eppure percepisce nettamente il suo tocco, la sua voce, le mani che spostano le cose, i suoi passi svelti attraverso le stanze. Fra quelle mura ha lasciato la sua impronta. La casa, Claudio e Lidia. La casa e tutto quello che c'è dentro. Cose che non le appartengono. Claudio è contento. Ci ha passato la sua adolescenza, è felice di abitarci anche adesso che è sposato. Se fosse stato per lui, sua madre non si sarebbe trasferita dalla sorella dopo il matrimonio. Ma la donna era stata irremovibile, due sposini devono stare soli, aveva detto, e quella era una delle poche cose sensate che Lidia le aveva sentito dire. Si sveglia, una notte, si sveglia da uno strano sogno che le svanisce dalla memoria non appena apre gli occhi. E' sudata, appiccicosa, si mette a sedere scostando le coperte. Claudio è sdraiato al suo fianco, addormentato, un braccio sotto il cuscino. Lidia lo guarda, lo accarezza con gli occhi, sta per passargli una mano fra i capelli ma poi la ritrae, decisa, come se temesse di scottarsi o pungersi. "Claudio, io non ti amo più", gli sussurra nel buio. "Non ti amo più", ripete a voce un po' più alta. Si asciuga il sudore dalla fronte. Claudio non si muove. "Claudio!", chiama. Lui alza la testa, farfuglia qualcosa. "Io non ti amo più." "Cosa? Cosa dici?" "Io non ti amo più." Claudio si stropiccia gli occhi e si gira sul fianco. "Che ti prende?", domanda. "Io non ti amo più." Lui si volta e allunga un braccio per accendere la luce del comodino, urta la piccola sveglia e la fa cadere. Accende la luce e vede Lidia, seduta, la schiena contro la testiera, le gambe incrociate. "Io non ti amo più", ripete come ipnotizzata. "Lidia stai sognando", afferma Claudio con un sospiro, "svegliati." "No, non capisci." "Vuoi un bicchiere d'acqua?" "Hai sentito quello che ti ho detto?" Con uno scatto improvviso, lui dà un calcio alle coperte, si alza e afferra Lidia per le spalle, la scuote con violenza. "Smettila, smettila", le grida fra i denti. All'improvviso le fiamme sono già alte, hanno invaso la cucina e la sala e si stanno mangiando il corridoio pezzo per pezzo, ancora pochi attimi e raggiungeranno le camere, tutto brucia, tutte le cose di mamma ridotte a carcasse fumanti e inutili, il grande tavolo in sala da pranzo, la credenza con dentro il servizio buono, le poltroncine imbottite, le tende, i tappeti, in un attimo il fuoco li ingoia. Resta un silenzio attonito. E un'unica consolazione: la concessionaria è salva. |