Damiano Landriccia sono nato ad Andria (BA) il 9 agosto del 1973.
Risiedo a Trani (BA) e ho 27 anni.
Mi piace leggere, molto. Sono al cinema spesso, non importa dove purchè ciò che guardo
riesca ad aprirmi qualche porta di cui non ho ancora la chiave. Al cinema la gente piange,
ride, nasce e muore ma tutto può ricominciare anche dopo la morte.
Esercito privatamente la professione di Web-master.
Ascolto tanta musica, dalla classica al rock. Ho scritto e recitato per il teatro: uno
piccolo, umoristico, fatto da ragazzi come me qui a Trani. Ho partecipato al festival di
Pescaravideo nel 1997 categoria sceneggiatura senza vincere. E da allora vi partecipo ogni
anno.
Ho scritto un monologo teatrale rappresentato nel 1998 a Trani dalla Compagnia del Teatro
Umoristico.
Il mensile Max mi ha pubblicato un articolo sulla naja in occasione di un concorso
editoriale per il quale sono stato scelto insieme ad altri.
Ho vinto insieme ad altri 24 il concorso "Scrivilamusica La musica e il
mare" indetto da il settimanale Musica! con lausilio del comune di Genova:
pubblicheranno il mio racconto in un libro edito da Marsilio editore.
Ho avuto esperienze di copywriter nel settore multimediale.
Scrivo recensioni cinematografiche per un mensile di libera espressione giovanile
modenese. |
Se si
passa, di sera ma è necessario che le stelle siano accese al massimo del wattaggio
poiché manca la luce, lungo la costa delle Roccebelle nella città di Stipazia è facile
notare un ragazzo alto con la barba e gli occhi di brace vestito da marinaio che cammina
sul margine della scogliera. E chi lo ha visto lo ha anche sentito chiamare un nome,
Angela, o almeno così si dice. Tutte le sere questo omone passeggia disperato
tantè che la gente del posto gli ha fatto labitudine e ha imparato a
considerarlo una delle tante attrazioni del posto. Se avete un aereo e riuscite a zoomare
con gli occhi lo vedrete come lho veduto io. Alto quasi due metri, robusto come un
armadio a due porte e direi anche comodo come un divano a due posti volendo, con un barba
nera messa lì a posta a coprire un viso di bimbo e due mani che grandi come sono sembrano
coperte da guanti ma non lo sono. A tracolla porta un sacco floscio e cè chi pensa
rubi le stelle cadenti. Precisamente passeggia dalla casa del signor Biglio alla casa del
signor Scompasso con una precisione da cagna di barboncino in calore che fiuta odore di
mastino. La voce del marinaio con la barba poi è così intonata e gentile da persuadere
gli abitanti della Stipazia a dargli una mano nella ricerca. Alle porte di ogni casa sono
appesi dei fogli bianchi con il nome Angela a caretteri cubitali.
E non è difficile che qualcuno tornando da lavoro, la sera, intoni il nome e si guardi
attorno. Questo però quando o la luna o le stelle danno il loro contributo. Perché?
Perché a Stipazia non cè la corrente elettrica, mi sembra ovvio!
Gli abitanti di Stipazia sono persone normali, come altre. Tra i più noti ci sono il
parroco, il medico, il notaio, il farmacista, la peripatetica, la guardia, la maestra e il
sindaco.
A qualsiasi ora guardiate di case se ne contano trecentottanta e di abitanti circa
milleduecento di cui duecento tra bambini e bambine e il resto di donne, uomini e anziani.
I bambini la mattina sono a scuola, il pomeriggio fanno i compiti e la sera guardano le
stelle. Gli uomini la mattina e il pomeriggio lavorano, la sera chiamano Angela. Gli
anziani la mattina, il pomeriggio e a volte la sera diventano peripatetici pure loro. Le
donne quando non sono in casa a cuocere frittelle sono dal medico. Il medico è il più
belluomo di Stipazia, parla bene ed è sempre profumato. Tutte le donne del
villaggio lamentano fitte e dolori un po dappertutto. A volte pur di non togliere
del tempo alle faccende domestiche, durante la pennichella dei mariti, approfittano di una
visita domiciliare più accurata del medico; certe si lamentano così tanto dei dolori
reumatici che i gemiti echeggiano di casa in casa. Nel suo studio medico ci sono sempre
riviste con qualità e difetti in mostra: e le malate sono quasi sempre donne molto
giovani. A volte ci trovi anche qualche anziano che entra curvo sulla schiena e,
spazientito dellattesa, esce con le mani in tasca. Spesso il parroco, da malato e da
uomo di chiesa: direi più da uomo di chiesa a giudicare dalle riviste requisite.
Un tipo strano è lintellettuale di Stipazia, il signor Scudo. Due volte a settimana
è dal medico per cultura personale. È la malattia più strana che abbia mai sentito. Pur
non facendo altro che leggere e scrivere tutto il giorno ha entrambe le mani piene di
strani calli, forse più la mano destra.
Vicino la fermata della corriera abita il signor Daccio: soffre di insonnia e di sera a
volte ti capita di vederlo passeggiare lungo i campi di fragole dove dalla disperazione ne
mangia qualcuna di troppo. A vederlo con gli occhi arrossati dal sonno e le labbra sporche
di rosso sembra un vampiro. I vicini, visto che la prudenza non è mai troppa, tengono ben
nascoste le figlie femmine e in casa hanno aglio e crocifissi ovunque. La diceria si è
allargata così a macchia dolio che alla fermata della corriera si manifestano scene
di panico. La corriera ferma di sera.
Con lultima corsa è arrivato a Stipazia in turné un gruppo di cantanti donne. Che
sono cantanti lo si vede dai polmoni particolarmente predisposti. La meno carina ne ha due
portentosi tenuti stretti tra una scollatura da brivido. E visto che da noi non ci sono
alberghi si decide tutti assieme di ospitarle in casa. Già, ma loro sono in cinque e noi
abbiamo più di trecento case! Lo scemo del villaggio, Ugo, propone di giocarcele a pasta
e fagioli. Chiamatelo scemo! Viene decretata così la buona causa della proposta e per il
bene di quelle cinque donne infreddolite e stanche si dà inizio alla gara.
Anche i più anziani non vogliono astenersi dal dimostrare di avere un cuore.
In un pentolone alcune donne preparano cento chili di fagioli speziati con aglio e
peperoncino e a parte altri cento chili di pasta.
Persino il parroco, visto lo spazio che ha a disposizione nella sua parrocchia, si offre
di parteciparvi.
La gara ha inizio alla mezzanotte. Imbandita una tavolata senza eguali. A capo tavola il
sindaco Egidio. Arbitro il signor notaio. Alla fucilata della partenza cè già un
partecipante in meno.
Verso luna tuonanono i primi rutti e le prime scoregge di massa. I primi cadono.
Laria per via del caldo umido e delle flatulenze è irrespirabile. Altri cadono. Le
ballerine appostate su di un carro con le gambe a penzoloni, scoprono le cosce e si fanno
fresco con le sottane. In molti si rialzano e tornano a battersi. Lo scemo del villaggio
è in vantaggio. Il parroco si batte disperato e guardando il cielo invoca aiuto. Le
cantanti restano con addosso solo i corpetti e le sottane. Il parroco sembra invocare
qualcuno più potente con bestemmie latine. Molti si ritirano. Le cantanti improvvisano un
balletto giusto per rallegrare latmosfera: le sottane si alzano mostrando i pizzi e
i merletti. La più giovane intona un canto dolce gonfiando daria i polmoni e quasi
facendoli scoppiare. Al parroco saltano ad uno ad uno i bottoni dellabito. Lo scemo
del villaggio chiede la decima portata e del pane. La cantante più carina, al coro, con
un gesto sensuale delllindice si carezza le labbra sino al seno, strizza gli occhi e
manda bacetti. Degli anziani corrono a casa con le mani in tasca. Cè chi si
strozza. Richieste di biancheria intima pulita.
Verso le tre alla tavolata si contano tre persone: il sindaco, Ugo lo scemo e il parroco.
Per stuzzicare lappetito viene distribuito del provolone piccante e della
mortadella. Le cantanti dormono sul carro e il resto degli spettatori dove può. Il più
feroce flatulento di Stipazia, carico di fagioli, viene fatto sedere accanto
allarbitro per evitare che si addormenti. Alle tre e quarantacinque sono in due: lo
scemo e il parroco. Alle quattro si sente in lontananza una voce. È lomone. Ha una
voce tenorile e intona una canzone che ritornella col nome Angela. Chi dorme si sveglia.
Sembra un canto damore, una serenata. Le parole sono bellissime. Tutti guardano
verso il buio a puntini delle stelle. Ad Ugo lo scemo vengono le lacrime agli occhi. Le
donne portano le mani al viso dalla meraviglia, gli uomini arrossiscono dalla gelosia di
un amore così straziante. Agli anziani si rompe la crosta che tiene il cuore. Le cantanti
piangono più di tutti. I bambini corrono verso la voce ma la voce è lei che si avvicina.
Il parroco crede sia la voce di un angelo venuto a punirlo per aver bramato la vittoria, e
si inginocchia col rosario in mano.
Il bambino più sveglio si accorge che una stella brilla più di tutte. Un acuto sofferto
invoca Angela e la stella quasi è come il sole. Ora tutti corrono verso la scogliera. Il
parroco col rosario in una mano e la ciotola di fagioli nellaltra. Ugo resta seduto,
piange e carezza con le dita le vene del tavolo. La cantante più giovane resta vicino a
Ugo, gli siede vicino e lacrime agli occhi cerca di incidere con le unghie un nome sul
legno. E intorno al nome ci disegna un cuore prima che le unghie si spezzino e la memoria
venga meno. Il legno ha il nome di Ugo. Lamore ha rapito il nome a Ugo. Ugo se
smette di piangere ha gli occhi chiari, la cantante lo sa. I capelli si dovrebbe
pettinarli. E quel viso imbronciato che lo fa scemo, magari, truccarlo con un sorriso.
Adesso due mani si incrociano, si prendono tra le dita e stringono.
Gli stipaziani sono quasi vicini allo voce, corrono più che possono. Eccoli lì.
Lomone vestito da marinaio è sullultima lingua di scogliera: ha le braccia
aperte e la testa puntata al cielo verso la stella più grande e più luminosa. La voce fa
danzare quel nome Angela sino a ficcarlo nei cunicoli del cuore. In una mano ha il sacco
slacciato. Le prime stelle si lanciano cadenti sul mare. Un vento caldo alza i capelli
lunghi delle donne, sfiora le gonne di lana grezza, alza le gonne di stoffa delle
cantanti.
Qualcuno grida: - ci ruba le stelle!
Il sindaco pretende un permesso scritto o latto notarile. Lintellettuale del
paese quando glielo chiedono non sa dire come può finire poiché nei suoi libri non ha
mai letto nulla di simile. Il parroco grida a Lucifero ma ripensando ai fagioli, zittisce,
temendo lira di chi conosce anche i suoi pensieri.
Lomone ha le lacrime agli occhi e con quel nome a spasso sulleco, apre il
sacco. Il sindaco insiste col permesso e la guardia avanza minacciosa con le manette ma il
bambino più sveglio gli fa lo sgambetto. Una cantante, la più alta di tutte, si avvicina
allomone vestito da marinaio; in mano ha un fazzoletto: allunga la mano. Il marinaio
si gira e la guarda.
- Tu chi sei?
- Ti ho portato un fazzoletto.
- Sei gentile
ma non hai paura di me?
- Perché dovrei: hai una voce bellissima.
Prende il fazzoletto.
- Sai, anchio mi chiamo Angela come la tua stella.
- Ciao Angela, io mi chiamo Ernesto.
- Cosa fai con quel sacco?
- Dentro cè la terra che viaggiando da marinaio in tutto il
mondo ho raccolto: un po da ogni isola in cui sono stato.
- Ma perché sei così triste?
- Sono stanco di viaggiare: vorrei una casa e una famiglia.
- Chi è lAngela di cui canti: una stella?
- Nessuno. È il più bel nome che ho trovato.
- Sul serio trovi che Angela sia un bel nome?
- È il nome più bello che abbia mai visto.
- Visto!
- Sei la prima Angela che incontro. E ora credo di potermi liberare
dei miei viaggi una volta per tutte.
- Perché buttarla via: con quella terra possiamo piantarci dei
fiori
insieme se vuoi!
- Insieme. Lo voglio.
- Ma non potrò mai essere più bella delle tue stelle.
- Tutte le cose del mondo sono belle se solo lo si vuole.
E decidono di vivere tra le stelle come due stelle,
non lamentandosi mai di qualche nuvola grigia o di un po di pioggia: perché nella
vita cè posto per tutto.
Il bambino sveglio cerca di ficcare quel che gli pare un sogno tra gli altri sogni. Gli
stipaziani se vanno a letto. Il parroco è curioso di sapere che faccia ha il suo Cristo
di legno in parrocchia: magari è arrabbiato! Lintellettuale per cultura personale
decide di provare anche lamore.
Ugo e la cantante sono sdraiati sul grande tavolo di legno, mano nella mano, a guardare le
stelle e a volte a guardarsi negli occhi e spesso a scambiarsi baci.
Anchio me ne torno a casa e lungo la strada incontro una delle cantanti. Cè
una pozzanghera, lei ha i tacchi così la aiuto: mi tocca prenderla in braccio. È
leggera, ha un viso dolce e indossa un buon odore. La pozzanghera ormai è schivata ma non
la lascio, mi chiede dove andiamo e io le rispondo che andiamo a casa. È tardi. E
cè tutta la vita per parlare di noi.
Qui la vita a Stipazia finisce e ricomincia una volta a settimana, con larrivo della
corriera, per chi lo vuole. |