ALOSI home pageALOSI home page

Antonella Stefania Martini home page Antonella S. Martini


Espanol

riga.gif (4548 byte)

 

Una spina nel cuore
© di Antonella S. Martini

La pioggia tamburellava alle finestre. Il commissario Gregori allungò lo sguardo oltre i vetri sporchi. Il cielo era livido e compatto. In quel momento si sentì come fuori posto. Si chiese se fosse stato giusto aver lasciato il suo paese. Qualche volta, nei momenti di solitudine, gli capitava di pensare che la sua esistenza correva su un filo distorto, verso un futuro che sembrava già guasto. Giunse le mani davanti la fronte. Ma sì perché arrovellarsi? Era stato giusto abbattere il ponte che lo legava al passato. Scegliere di venire ad abitare in una città molto grande come Roma e lasciarsi consumare lentamente, tra le sozzure del mondo. Perché in fondo, fare il poliziotto, era questo: sporcarsi le mani, tutti i giorni e credere di essere un gradino sopra gli altri. Il delicato ticchettio alla porta ruppe il percorso dei suoi pensieri. "Avanti". "Dotto' sono Sposito. Prima di entrare in servizio sono passato all'ufficio postale. C'era una fila. Ma la privatizzazione non doveva aggiustare ogni cosa?" Gregori squadrò l'ispettore Sposito. Giovane, dal fisico asciutto e nervoso. Lo incalzò a proseguire con il silenzio. "Ecco le volevo dire che… insomma bisogna andare in un posto. Deve venire pure lei. Il cadavere è ridotto male dotto'.'" Il commissario afferrò il cappotto. "Andiamo. Mi spiegherai tutto per strada." Quando arrivarono all'altezza di Via del Cappellaccio, sul Ponte della Magliana, il commissario Gregori non s'era aspettato di trovarvi una scena del genere. Il cadavere era disteso a terra e non riusciva a capire perché fosse mezzo nudo e soltanto dalla cintola in giù. Con quel freddo! Il sangue rappreso s'era incrostato sulle cosce. "Com'è stato ammazzato?" Si era rivolto a Sposito. Non se la sentiva di avvicinarsi troppo. Si accese una sigaretta. Nonostante cercasse di nascondersi dietro le nuvole di fumo gli occhi finirono con il posarsi sul cadavere. Contro la sua volontà. "Gli hanno sparato e poi gli hanno tagliato il… uh mamma do Carmine!." Sposito s'era allontanato con il palmo di una mano sulla bocca. Gregori rimase distante, osservando la scena mentre il medico esaminava il cadavere. Alcuni agenti stavano perlustrando il terreno. Il commissario s'affiancò al medico legale, cercando di non guardare troppo quella parte del corpo dilaniata dalla ferocia omicida. La bocca gli si arricciò in una smorfia disgustata. "Salve, sono il commissario Gregori." Il medico sollevò la testa verso la sua voce. "Salve." "Ce la fa ad anticiparmi qualche cosa?" "Ma… considerando questo tempaccio, le condizioni del cadavere non sono buone. Sarà morto ieri sera." "Ma il… il…" "Il membro? E' stato asportato di netto. Dal sangue che c'è qua, purtroppo, debbo constatare che non era ancora morto quando l'assassino gli ha fatto il servizio." "Cazzo! Poveraccio!" "Fra qualche giorno le faccio avere il rapporto. Sa la lista degli ospiti è lunga." Gregori fece per acconsentire muovendo il mento su e giù. Un rumore di passi decisi lo costrinse a voltarsi: l'ispettore Sposito lo stava raggiungendo con un fazzoletto davanti alla bocca, il commissario sorrise a mezza bocca. Il giovane ispettore camminava accanto ad un uomo il cui viso non gli riuscì a collocare all'istante. Soltanto quando il magistrato fu a pochi passi da lui lo riconobbe come il dottor Pellicci. Tirò fuori la mano intirizzita dalla tasca per mandarla a stringere quella del magistrato già tesa a mezz'aria.

Torna all'inizio

riga.gif (4548 byte)

Zone d'ombra
© di Antonella S. Martini

Il parco è immerso nell'oscurità mentre lo attraverso a passi leggeri e veloci. Un vento caldo e gentile bisbiglia tra le fronde degli alberi. Sembra voglia suggerirmi di tornare indietro. Una parte di me vorrebbe farlo, ma è troppo tardi. Ormai. Le mie gambe sfiorano il terreno, vorrei sentirle pesanti, provare qualcosa di diverso. Eppure, in una frazione di secondo, ho affogato ogni certezza, sfumato il futuro, sgretolato la mia vita. In un istante … mio Dio! E' così difficile spiegare alcune cose che si possono provare in un certo momento della vita. Non tutti possono capire. Alcuni lati oscuri noi li scopriamo nel momento in cui un cono di luce ce li illumina, poi può capitare che nonostante siano stati evidenziati ci spaventino subito o, al contrario, andiamo loro incontro curiosi, vedendoli come nuove avventure da scoprire. Ma ci sono delle volte in cui dovrebbero rimanere al buio, tutta la vita. Invece, dopo che qualcuno li ha rischiarati, finiscono per farti esplodere l'anima.

Già da giorni mi parlava con tono ruvido. Avrei dovuto capire tutto prima. Nei suoi occhi ero già scomparso da tempo. Le sue ragioni erano state colpi di frusta. Le aveva pronunciate, così, senza decenza. "Fabio era da tempo che volevo dirti che… ecco…non voglio più … Dio! Insomma… ecco… sì… è che io voglio un vincente accanto a me. Capisci? Dovresti trastullarti di meno. Che so… Non concludi mai niente." Risento ancora la mia voce che vibra: "Ti prego… baciamoci almeno per l'ultima volta." Il suo no più deciso mi pulsa ancora nel cervello. Il suo corpo l'ho lasciato lì disteso sul manto erboso vicino al laghetto del parco. Vado a casa ora. Ho bisogno di dormire. Non voglio pensare al domani.

Torna all'inizio

riga.gif (4548 byte)

Strade interrotte
© di Antonella S. Martini

Gloria cercava nei ricordi qualcosa di buono del suo uomo, qualcosa a cui aggrapparsi, quella luce che si vede quando si ama veramente, ma di quella luce, che forse era stata solo artificiale, non c'era più niente. Ora l'immagine opaca di lui gli restituiva parole sporche pronunciate con una passione malsana nelle vene, capaci soltanto di strapparle la serenità, affogarla nel dolore che lacerava ogni certezza. Le lacrime mescolate al trucco si sciolsero sul viso fino a colare sulla carne nuda del collo. Era finita. Per sempre. Sentì il suo corpo farsi di piombo, le gambe due esili tronchi gravidi di briciole; cercò di sollevarsi dalla sedia fino a riuscire a raggiungere il telefono. Voleva capire. Ancora stentava a credere che tutto questo fosse accaduto a loro, a lei, a sua sorella e a quell'uomo al quale s'era data completamente. Sollevò la cornetta, puntò l'indice sulla tastiera e compose il numero: attese un tempo che a lei sembrò indefinibile, poi la voce e il bip della segreteria. Avrebbe volute dire qualcosa, ma le parole s'incagliarono nella gola. Forse, con l'inchiostro sarebbe stata capace di esprimere ciò che l'aveva consumata.

"Ehilà come va stamane?" "Bene grazie e tu?" Risposi a Giorgio, l'inseparabile amico di mio cognato, il suo socio. "Lo vuoi un caffè corretto che fuori fa un freddo boia?" "Sì, fammelo va così copre quel saporaccio di caffè bruciato che fate qua dentro." Mi lasciai cadere su una delle sedie, tra due spicchi di vetrine. Dovevo ammettere che Danilo era stato abile, aveva rimodernato il locale e ogni angolo ora era così lustro che sfoderava un'eleganza dal sapore sofisticato. Presi il giornale e lo allargai sul tavolino. Per impegnare le mani sudate e nascondere la tensione in cui stavo precipitando. Il tepore interno aveva appannato tutte le vetrate, oltre le quali la città andava risvegliandosi pigramente. Assorta nella lettura non m'accorsi della figura alle mie spalle, mi voltai lentamente incrociando gli occhi di Danilo. "Allora! Com'è questa novità? T'ho cercata per secoli per parlare del bar… insomma m'hai capito e poi sbuchi così, all'improvviso, dopo tutti questi mesi!" Appoggiai lo sguardo altrove, ero lì per un motivo che mai avrei potevo condividere con lui. Non dopo quello che avevo letto nella lettera che m'aveva consegnato il portiere mesi prima. Dopo la scomparsa di Gloria me ne ero andata via. Il suo inaspettato suicidio mi aveva stravolto. Sia chiaro: Gloria era la mia gemella, ma il nostro rapporto non era di quelli morbosi, simbiotici o nevrotici come quelli tanto ben disegnati nei romanzi o raccontati attraverso le immagini cinematografiche, Gloria ed io eravamo semplicemente sorelle. Con il nostro affetto ogni tanto incrinato dalle piccole, sottili rivalità per guadagnarci una carezza da mamma, un regalo in più dai nonni, un bacio da strappare a papà. Ma alla fine ci riavvicinavamo con la stessa naturalezza con la quale c'eravamo azzuffate e allontanate. Crescendo avevamo imparato a contare l'una sull'altra, senza vivere appiccicate. Pochi anni fa avevamo perso i nostri genitori il bar dove mi trovavo adesso era la loro eredità, l'unica fonte di guadagno che loro ci avevano lasciato. Poi un giorno il nostro cammino s'intrecciò con quello di Danilo, facendo scoccare l'amore in un cuore di troppo. Lui era accattivante, simpatico, forse bello. Sì posso ammetterlo: bello. Io decisi di rinunciare sia a lui sia al bar per lasciarli a Gloria, che fra noi due m'era sempre sembrata la più gracile. O, forse, dovevo ammettere che la mia natura zingaresca mi spinse verso altre strade. Nonostante i cambiamenti di Danilo il bar mi rimandava frammenti di memorie lontane, piccoli, grandi sogni che s'affastellavano in continuazione mentre disponevo grappine sul bancone, vaporizzavo il latte per i cappuccini e miscelavo i vari chicchi nella macchinetta trita caffè. Mentre mi tenevo attaccata a quei ricordi cominciarono a rimbalzare da un emisfero all'altro della testa persino le facce finte dei parenti che dopo la scomparsa di Gloria m'avevano promesso tutto l'aiuto di questo mondo e invece, dopo neanche un mese, avevano diradato le telefonate, fine a sfumarle nel nulla. "Vedo che stai meglio e poi l'importante è che tu lavori, no? E poi c'è Danilo, tuo cognato. E' un bravo ragazzo, no?!" Ero rabbiosa contro tutti, ma soprattutto contro di lei che m'aveva lasciata, senza una parola. E invece m'ero sbagliata. Le parole le aveva trovate e me le aveva spedite, solo che erano giunte troppo tardi. "Potresti ospitarmi qualche giorno? Mi serve un po' di tempo per riflettere!" Buttai lì a mio cognato, per sondare le sue intenzioni. "Perché ancora non lo sai che cosa vuoi fare da grande?" Non mi piaceva lo sguardo ruvido di lui. Gli gettai in faccia un'espressione perplessa. "Scherzavo! Sai, è che…" si accarezzò la testa con la mano sinistra che poi fece scivolare nella tasca del pantalone in modo nervoso. "E' che io non vivo solo. Sai com'è." "Sì, immagino." Feci un sorriso cretino, di quelli che si sfoderano quando non si ha il coraggio di sputare in faccia all'altro quello che si pensa davvero. Ancora temporeggiavo. La porta d'entrata cigolò lentamente facendoci voltare verso un grappolo di uomini infreddoliti che stava entrando per una bevanda calda e fumante. Mio cognato si mosse verso il bancone. Chiusi gli occhi per qualche istante. Per concedermi ancora le ultime briciole di tempo, tempo per riflettere: avevo avuto sei mesi per spremermi ed ora che avevo scavato nei suoi occhi, sapevo che quella era l'unica cosa da fare. Attesi che l'ultimo avventore uscisse dal locale, mi alzai lentamente andando verso il bagno, appena dentro aprii il mio zaino e sfilai la piccola automatica con le mani tremolanti. In quei mesi avevo pensato anche al modo e una pistola era l'unica cosa che m'avrebbe potuto dare coraggio: pulita, fredda, potente. Il caffè corretto stava facendo il suo effetto: il sangue impennava ormai scaricando scaglie d'adrenalina lungo le vene. L'odio aveva corroso ogni cellula della mia carne e spento ogni speranza, Un odio non soltanto generato dalla scoperta del fatto che la mia gemella s'era tagliata le vene per colpa sua, di Danilo, un uomo che l'aveva irretita per farsi sposare e fare in modo, poi, che Gloria si sentisse solo un amore uso e getta, ma anche per il fatto che lui le aveva fatto credere che la relazione che aveva intrecciato con un'altra donna, quella donna, fossi io. Uscii riacquistando il sangue freddo. Il fragore delle pallottole scaricate su Danilo rimbombò all'interno del bar, una vetrata esplose in mille schegge che mulinarono luccicanti nell'aria. Mi girai verso Giorgio gli puntai la pistola contro: i suoi occhi lacrimavano pietà. Non ce l'avevo con lui, la mia mano tremò, delle gocce sincere scivolarono dai miei occhi, ma il tragitto fino al confine era da percorrere nel più breve tempo possibile. Il suo grido m'accompagnerà ovunque. Lo lasciai lì, grondante di sangue, con la speranza che non morisse. Una volta fuori cominciai a correre, soltanto in quel momento mi resi conto di ciò che avevo fatto. Soltanto la vista del sangue mi fece capire che stavo fuggendo verso una strada interrotta per sempre.

Torna all'inizio


Contatti dal 15 maggio 2000

Scrivimi


webmastering
grafica
emmepi

Alosi.it home page

ultimo aggiornamento
maggio 2000